I due conflitti nei quali è attualmente impegnato l’Occidente, e cioè la guerra di sterminio contro il popolo palestinese e quella contro la Russia in Ucraina, stanno entrambi volgendo al peggio. Il prezzo umano è enorme, soprattutto nel primo caso, così come enormi sono i rischi per la pace mondiale. Nonostante qualche manfrina destinata ad ingannare coloro che sono disposti a farsi ingannare, l’Occidente, Stati Uniti in testa, continua ad alimentare il genocidio, fornendo tutto l’appoggio militare, politico ed economico necessario al regime nazisionista di Benjamin Netanyahu.

Eppure, nonostante i trentamila e più morti Palestinesi, in gran parte civili e soprattutto bambini, Israele fatica ad avere ragione della resistenza palestinese. Israele è sempre più isolato nell’opinione pubblica mondiale e comincia a pagare sul piano economico il prezzo di questo isolamento. Resta tuttavia molto acuto il problema di come evitare le nuove tappe del genocidio in corso, a partire dalla morte per inedia di decine di migliaia di Palestinesi. Si conferma la vocazione plurisecolare dell’Occidente allo sterminio delle popolazioni inermi, operazione certamente più facile e comoda che lo scontro fra apparati militari che presenta, come si vede in Ucraina, varie incertezze.

In Ucraina, in effetti, è da tempo palese il fallimento della cosiddetta controffensiva ucraina. Il problema di Zelensky non sono solo le munizioni che scarseggiano, ma anche il fatto che difettino le persone da mandare al macello, la cosiddetta carne da cannone. Sempre più giovani ucraini si rifiutano di essere buttati nel tritacarne alimentato dalla Nato nella folle speranza di sconfiggere la Russia.

Eppure il rischio di un ulteriore allargamento dei conflitti è altissimo in entrambi i casi, facendoci tutti scivolare verso il baratro della guerra mondiale. Che tale allargamento si verifichi o meno in tempi brevi è chiaro, come la prospettiva di continuare le guerre sta determinando una profonda trasformazione qualitativa delle società occidentali e soprattutto di quelle europee. Il tentativo delle classi dominanti è quello di irregimentare il dissenso per abituare le masse alla guerra. Pertanto, si vorrebbe eliminare ogni voce dissenziente che sappia porre con la giusta e necessaria nettezza il tema del rifiuto della guerra e del genocidio, due facce di una stessa medaglia, rappresentata dalla strategia prescelta dall’Occidente per uscire dalla sua irreversibile crisi storica.

Questa pulsione irrefrenabile verso la guerra e la morte costituisce attualmente il principale problema che abbiamo di fronte. Essa deriva da due ordini di fattori principali fra loro collegati. In primo luogo il fatto che gli Stati Uniti sono pienamente consapevoli che la supremazia sul terreno militare costituisce la loro ultima chance in un mondo in rapida trasformazione che li vede sempre più in difficoltà sul piano economico, politico e culturale. Di conseguenza essi spingono i fedeli alleati, o per meglio dire servi europei, verso il riarmo, lanciando ordini cui i vari Scholz, Macron, Meloni, ecc., sprovvisti di una qualsivoglia identità e dignità, si adeguano prontamente.

Il secondo fattore è dato dalla forza crescente del complesso militare-industriale, fondamentalmente statunitense ma con propri addentellati in vari altri Stati occidentali, come da noi Leonardo e altri. Il complesso militare-industriale, come aveva previsto il presidente statunitense Ike Eisenhower, è diventata la forza dominante in tutto l’Occidente. Esso costituisce il settore più importante del capitale, quello che garantisce i profitti più rapidi e più ingenti. Di conseguenza esso aspira a modellare tutta la società, preparandola alla guerra. Basta dare un’occhiata a come giornali e televisioni trattano questi temi, o vagliare l’impatto dei produttori di armamenti sull’università e sulla ricerca, o i tentativi di snaturare tutto il sistema educativo, per rendersi conto che abbiamo passato da un pezzo la linea di guardia.

Ancora tuttavia la repressione burocratica contro la libertà d’insegnamento e la fedeltà ai principi costituzionali appare malcerta, come dimostra il caso del professore romano assoggettato a procedimento disciplinare per aver parlato di Gaza in classe e successivamente assolto.

Il Partito democratico è infettato fino al midollo dal complesso militare-industriale, le cui sorti sostiene allegramente insieme alla destra. Ma la maggioranza della società, le forze vive del popolo italiano e degli altri popoli europei si oppongono al dominio dei morti viventi che vorrebbero portarci alla catastrofe. Lo dimostrano le proteste dell’Università contro la collaborazione con Israele, le mobilitazioni contro la Nato e i progetti di scioperi contro la guerra. Sarebbe ora di dare organizzazione e direzione politica adeguata e unitaria a chi non si rassegna alla guerra e alla morte.

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