Crime

Chieste nuove indagini per il “delitto dell’armadio”: dopo 30 anni potrebbe esserci una svolta nel giallo di Antonella Di Veroli

A distanza di quasi 30 anni il caso potrebbe arrivare a un epilogo e all’identificazione dell’assassino della 47enne romana morta per asfissia, ammazzata con un sacchetto di plastica dopo che due colpi di pistola non erano riusciti ad ucciderla

di Alessandra De Vita
Chieste nuove indagini per il “delitto dell’armadio”: dopo 30 anni potrebbe esserci una svolta nel giallo di Antonella Di Veroli

Richieste nuove indagini per il “delitto dell’armadio”: per uno dei tanti omicidi irrisolti d’Italia, il cold case di Monte Sacro del ‘94, si potrebbe arrivare a una verità o almeno è ciò per cui lottano i familiari di Antonella Di Veroli, la commercialista assassinata 30 anni fa esatti, il 10 aprile del 1994 a Roma in zona Monte Sacro. Il suo corpo fu ritrovato dopo due giorni dai parenti insieme ad un’amica della donna e all’ex socio Umberto Nardinocchi in un armadio le cui porte erano state sigillate con del silicone nella sua casa in via Domenico Oliva. I legali della sorella della vittima Carla Di Veroli, hanno depositato in procura a Roma un’istanza per la riapertura del caso per cui, ad oggi, non è stato individuato un colpevole.

La morte avvenne per asfissia perché la 47enne fu ammazzata con un sacchetto di plastica dopo che due colpi di pistola non erano riusciti a finirla. Proprio da uno di quei bossoli, sparati da un’arma di piccolo calibro e mai analizzati prima potrebbero emergere nuovi scenari. La mano che ha fatto esplodere quei proiettili calibro 6,35 millimetri da una pistola da taschino, e che ha sigillato il corpo della commercialista in un armadio chiuso col mastice, ora potrebbe essere identificata. L’avvocato della famiglia, Giulio Vasaturo, ha presentato l’istanza in procura per fare luce sulle testimonianze dei vicini e sui reperti non esaminati, che grazie alle nuove e più avanzate tecnologie di analisi potrebbero portare ad ottenere giustizia per la morte della Di Veroli. Antonella morì nella sua stanza da letto, al piano rialzato di via Domenico Oliva numero 8. La sua vita era fatta di gesti molto abitudinari e semplici. Andava in ufficio alle 9 e rientrava alle 19,30, tutte le sere. Quella domenica, rimase al telefono fino alle 23 dopodiché sembrò come svanire nel buio fino al ritrovamento del suo corpo. Le indagini all’epoca si concentrarono su due uomini che avevano avuto una relazione con Antonella. Il primo fu proprio Nardinocchi che però fu prosciolto al termine dell’istruttoria. L’altro, incriminato e assolto in tutti e tre i gradi di giudizio, fu il fotografo Vittorio Biffani prosciolto per un errore nelle analisi del guanto di paraffina.

I test dello stub furono scambiati, rendendo impossibile capire chi tra Nardinocchi e Biffani, fosse positivo all’esame. L’uomo è venuto a mancare nel 2003, ed era un ex amante di Antonella ma la loro relazione ebbe un finale brusco. Pare la commercialista gli avesse prestato 42 milioni. Anche la moglie di Biffani fu rinviata a giudizio insieme al fotografo con l’accusa di aver estorto dei soldi ad Antonella. Lo scorso anno è emerso inoltre che tra i reperti non analizzati ci potrebbe essere un bossolo trovato sulla scena del delitto e che potrebbe condurre all’arma utilizzata. Secondo le perizie, Antonella sarebbe morta intorno all’una di notte del 10 aprile ma quella stessa sera all’1.30 circa, dal suo appartamento era stata fatta una telefonata verso una compagnia di taxi. Dal fascicolo era emerso che non sono mai stati cercati né il radiotaxi né il tassista che potrebbe aver preso in auto l’assassino. Secondo l’avvocato della famiglia della vittima, il nome del colpevole potrebbe anche scritto negli atti dell’inchiesta.

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