I finanziamenti al sistema sanitario nazionale si fermano, nel 2024, al 6,27% del Pil: il livello più basso dal 2007 ad oggi e molti punti sotto l’incidenza sul prodotto interno lordo di Francia e Germania. È il Sole 24 Ore, nella Giornata mondiale della salute, ad aggiornare il dato tenendo conto delle nuove stime Istat che hanno rivisto al rialzo le dimensioni del pil italiano. La cifra assume ovviamente un notevole peso politico nei giorni in cui sullo stato della sanità sta andando in scena l’ennesima battaglia tra governo e opposizioni: la premier Giorgia Meloni rivendica “la cifra record” stanziata con l’ultima manovra per il sistema sanitario nazionale, il centrosinistra – insieme a esponenti di peso del mondo scientifico – lamenta al contrario che per la salute non si spende abbastanza.

Per capire chi abbia ragione non basta guardare ai numeri assoluti, ovvero i 136 miliardi di euro del Fondo sanitario nazionale 2024 che – rileva il quotidiano economico – sono 13,9 in più rispetto a quanto stanziato nel 2021 (+11,4%). Occorre innanzitutto tener conto degli aumenti dei prezzi legati all’inflazione: l’incremento cumulato nell’ultimo triennio è stato tale che, in termini reali, il sostegno pubblico al ssn non solo non è aumentato, ma è addirittura diminuito del 2,2%. È vero che in valore assoluto il finanziamento pubblico alla sanità è cresciuto con la manovra, che ha messo 3 miliardi in più per quest’anno e 4 per il 2025, ma i valori nominali contano parzialmente a fronte di uno shock inflattivo e del rialzo del Pil. Che, appunto, fa calare lo stanziamento al 6,27%. Ben lontano dal 6,8% citato qualche giorno fa da Meloni ospite a Cinque minuti su Rai 1. Solo per mantenere le risorse, in proporzione al pil, invariate rispetto al 2022, quando il Fsn valeva il 6,68%, occorrerebbe investire ben 9,2 miliardi quest’anno e 9,4 il prossimo.

Ma il problema è strutturale e si protrae da diversi anni. Mentre il sistema sanitario arranca – e mentre la popolazione invecchia e i bisogni e le tecnologie sanitarie evolvonoun Rapporto del Centro per la ricerca economica applicata in sanità di gennaio 2023 ha mostrato come la Salute sia una delle funzioni che ha visto un definanziamento maggiore (insieme all’istruzione): nel 2021, sul totale della spesa pubblica, alla Salute era destinato il 13,7% delle risorse, contro il 16,6% medio dei Paesi Eu “originari” (quelli entrati a far parte dell’Unione prima del 1995). Un calo di quasi 3 punti percentuali rispetto al 2016. In termini di copertura dei bisogni, inoltre, siamo al di sotto dei Paesi dell’Europa Orientale, mentre per quanto riguarda la spesa per la prevenzione in termini pro-capite l’Italia occupa l’undicesima posizione tra i diversi stati europei.

Il definanziamento ha spinto nei giorni scorsi numerose figure di rilievo del mondo della scienza a sottoscrivere un appello a difesa della sanità pubblica. Dal premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi al farmacologo Silvio Garattini, passando per il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli e l’immunologo Alberto Mantovani. L’appello invoca un piano straordinario di finanziamento e una maggiore valorizzazione del personale per arginare la crisi in cui versa il sistema. “Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito. Ma oggi – si legge nel documento – i dati dimostrano che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali“. Sotto accusa c’è proprio il forte sottofinanziamento della sanità pubblica, alla quale “nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil, meno di vent’anni fa“, precisano i firmatari, tra i quali compaiono anche esperti di economia e politica sanitaria come Francesco Longo dell’Università Bocconi e l’ex direttrice generale del Ministero della Sanità Nerina Dirindin. “La vera emergenza – specificano – è adeguare il finanziamento del Ssn agli standard dei Paesi europei avanzati“, pari “all’8% del Pil”.

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