L’esercito israeliano ha annunciato di aver ritirato tutte le truppe di terra combattenti dal sud della Striscia di Gaza, dopo circa 4 mesi di forti combattimenti. Solo la Brigata Nahal, spiegano i media locali, è rimasta sul posto con il compito di tenere in sicurezza il cosiddetto ‘Corridoio Netzarim‘ che attraversa la Striscia, lungo la costa dal confine nord, nei pressi del kibbutz Beeri, fino al sud. La notizia ha spinto centinaia di migliaia di sfollati accampati a Rafah a rientrare a Khan Yunis. Secondo la Casa Bianca, il ritiro parziale servirebbe riposare le truppe “sul terreno da quattro mesi” e non è necessariamente indicativo di nuove operazioni. Ma il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha chiarito che “il ritiro delle truppe da Khan Yunis è stato condotto nel momento in cui Hamas ha cessato di esistere come struttura militare in città”. Precisando che “le nostre forze hanno lasciato l’area per prepararsi alle loro future missioni, inclusa la missione a Rafah”. Parole che si concretizzano già nella serata di domenica 7 aprile, con l’emittente israeliana Channel 13 tv a riferire che Israele si sta preparando a iniziare l’evacuazione di Rafah entro una settimana e che il processo potrebbe richiedere diversi mesi. L’emittente riporta che il ministero della Difesa di Tel Aviv sta pubblicando una gara d’appalto per l’acquisto di decine di migliaia di tende. Si prevede l’acquisto di circa 40mila tende, ciascuna adatta a 12 palestinesi. Le tende saranno consegnate a organizzazioni internazionali, per realizzare una grande tendopoli a cui arriveranno gli sfollati da Rafah diretti a nord.

Netanyahu rilancia e accusa l’Iran -“Questa guerra ha rivelato al mondo ciò che Israele ha sempre saputo: l’Iran sta dietro all’attacco contro di noi attraverso i suoi delegati: Hamas, Hezbollah, gli Houthi, le milizie in Iraq e Siria”, ha detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu nella riunione di governo di oggi, domenica 7 aprile. “Israele è pronto, in difesa e in attacco, a qualsiasi tentativo di colpirci, da qualsiasi luogo”. Il riferimento è agli allarmi lanciati da Washington: gli Stati Uniti si stanno preparando attivamente a un attacco “significativo” da parte dell’Iran su obiettivi israeliani – ma anche americani – nella regione. Sono ritenute concrete le minacce di una reazione da parte di Teheran per il raid israeliano sul consolato iraniano a Damasco in cui è stato ucciso il comandante delle Guardie della rivoluzione islamica in Siria, insieme ad altri cinque ufficiali. Quanto al conflitto nella Striscia, fonti egiziane hanno riferito il quotidiano del Qatar AI-Arabi Al-Jadid di un possibile cessate il fuoco temporaneo per la festa di fine Ramadan, che dura tre giorni e inizia la sera di martedì 9 aprile. Netanyahu ha invece affermato che “non ci sarà cessate il fuoco senza il ritorno degli ostaggi, l’ho detto chiaramente alla comunità internazionale e accolgo con favore il fatto che sia anche la posizione dell’amministrazione Biden”. Quella del premier israeliano è anche una risposta alle proteste che a Tel Aviv hanno portato 100mila persone in piazza. “In queste ore una minoranza estrema e violenta sta cercando di trascinare il Paese nella divisione”, ha detto con un appello all’unità del Paese. “Non c’è niente che i nostri nemici desiderino di più, che la divisione interna e l’odio gratuito ci fermassero poco prima della vittoria”.

Verso l’azione militare a Rafah? – Fonti militari hanno però riferito che il ritiro è il preludio alla cosiddetta “Terza fase” programmata dall’Idf, quella “dei raid mirati e limitati“, come nel caso dell’ospedale Shifa a Gaza City. L’esercito “è ora in attesa di una decisione da parte dei vertici politici sulla possibile azione militare a Rafah” (a ridosso dell’Egitto), dove ci sono gli ultimi battaglioni di Hamas ma anche centinaia migliaia di sfollati palestinesi, hanno detto le fonti a Ynet, pur non escludendo che “se necessario” l’esercito possa tornare a Khan Yunis“. Oltre a Rafah, l’esercito è intenzionato ad operare a Deir el-Balah nel centro della Striscia. Secondo l’Idf, la partenza da Khan Yunis “consentirà ulteriori opportunità operative e di intelligence”. Le stesse fonti hanno sostenuto che la decisione di far rientrare le truppe non ha nulla a che vedere “con la pressione Usa su Israele”, quanto piuttosto con la volontà di “lasciare spazio” nella zona agli sfollati palestinesi “se e quando sarà condotta l’operazione a Rafah”, ma anche di far tornare i residenti alle loro case di Khan Yunis, come sta avvenendo proprio nelle ultime ore.

L’ipotesi di rappresaglia da parte di Teheran – Per gli alti funzionari americani, la rappresaglia di Teheran è ormai “inevitabile“. Un’opinione condivisa dalla controparte israeliana – che da giorni si prepara al peggio, richiamando i riservisti e chiudendo diverse ambasciate nel mondo, come a Roma – ed esplicitata chiaramente dal capo di Stato Maggiore delle forze armate iraniane Mohammad Bagheri: “La vendetta dell’Iran è inevitabile e sarà Teheran a decidere come e quando effettuare l’operazione”, ha detto durante i funerali di un alto ufficiale ucciso a Damasco. “Nessuna delle ambasciate del regime sionista è più al sicuro”, ha dichiarato domenica mattina Seyyed Yahya Safavi, consigliere della Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei. “Il fronte della resistenza determinerà il destino di questa regione sotto la guida dell’Iran”, ha aggiunto. Riferendosi all’attacco al consolato iraniano a Damasco, il ministro degli Esteri di Teheran Hossein Amirabdollahian ha affermato che l’opposizione di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia a una dichiarazione di condanna del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è un’indicazione della loro ipocrisia politica e del sostegno ai crimini di Israele.

Le forze d’intelligence americane avvalorano la tesi di un attacco “probabilmente entro la fine del Ramadan“, che termina martedì, specificando che potrebbe avvenire con l’uso di droni e missili da crociera. Finora a dare man forte ad Hamas negli attacchi a Israele erano state solo le forze ‘ombra’ degli Hezbollah libanesi e degli Houthi dallo Yemen. Ma l’attacco al consolato iraniano in Siria potrebbe aver convinto l’Iran a sferrare un attacco diretto allo Stato ebraico. Sarebbe lo scenario peggiore al quale si sta preparando l’amministrazione Biden: si tradurrebbe infatti in una rapida escalation che potrebbe portare la guerra di Gaza a trasformarsi in un conflitto regionale più ampio. Qualcosa che Biden ha cercato di evitare a lungo, in questi mesi di guerra in Medio Oriente e di tensioni tra gli Stati arabi, l’Iran e Israele.

Unicef: “Uccisi oltre 13mila bambini” – Il tutto mentre oggi sono passati esattamente 6 mesi dall’inizio della guerra di Israele a Gaza dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. E c’è una popolazione, quella della Striscia, che continua a morire non solo per le bombe ma anche per la fame e la sete. “La guerra a Gaza ha ucciso oltre 13.000 bambini e ne ha feriti molti di più. In rovina case, scuole e ospedali. Uccisi insegnanti, medici e umanitari. La carestia è imminente. Il livello e la velocità della distruzione sono sconvolgenti. I bambini hanno bisogno di un cessate il fuoco ora“, scrive su X la direttrice generale dell’Unicef Catherine Russell, a proposito dei bambini di Gaza. “I due bambini ancora in ostaggio a Gaza, Kfir e Ariel, devono ancora essere rilasciati – comunica sempre L’Unicef in merito agli ostaggi israeliani, ancora 134 secondo l’Idf -. Sono passati più di 180 giorni di angoscia per gli ostaggi e le famiglie. I bambini hanno perso i familiari e mancano loro i genitori e i loro cari ancora in ostaggio. Tutti gli ostaggi devono essere rilasciati ora“. Intanto nel mondo si allarga la protesta. “Umanità VS Israele” è stato scritto sui cartelli degli attivisti musulmani durante l’odierna manifestazione di solidarietà per i palestinesi a Giacarta, in Indonesia. Centinaia i manifestanti che hanno intonato slogan anti-Israele e chiesto un immediato cessate il fuoco.

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