Leggo su Testamento, la bella e irriguardosa autointervista di fatto concessa da Witold Gombrowicz a Dominique de Roux, un passaggio fulminante su che cosa significhi collocarsi politicamente a sinistra e, soprattutto, quali siano pose e interessi che è necessario smascherare per non incorre in quel conformismo della falsa coscienza che, per convenienza e convenzione, ama definirsi di sinistra senza esserlo. O forse senza essere null’altro che il riflesso delle proprie meschine ambizioni.

ROUX: Ma come uomo? Avrà pure delle opinioni politiche.
GOMBROWICZ: Sì, come tutti i dilettanti ho anch’io le mie opinioni da dilettante […].
ROUX: Appunto. Ebbene?
GOMBROWICZ: Mi pongo all’estrema sinistra.
ROUX: Lei? Se non sbaglio, è nemico del comunismo.
GOMBROWICZ: Sono nemico del comunismo solo perché sto dalla parte del proletariato. Lo dico con la massima serietà e franchezza.
Sono ateo, privo di pregiudizi, filosemita, autore ‘d’avanguardia’ e, per certi versi, addirittura un ‘demolitore’… Come potrei essere un rigido conservatore? Ho vissuto nella miseria per un quarto di secolo e, per quanto riguarda i miei interessi personali, avrei tutto da guadagnare da una rivoluzione sociale […]. Non c’è niente che mi leghi alla classe capitalista. Stando così le cose, dovrei essere un mostro per preferire, così, per puro piacere, lo sfruttamento alla giustizia. Sono cose che succedono solo quando entrano in gioco motivi egoistici più o meno inconsci, oppure quando si è prigionieri dell’atavismo.
Sì, sto con il proletariato, o meglio contro, visto che vorrei farlo sparire dalla faccia della terra! […] Voglio veder sparire quella vergogna detta proletariato […] Io e i comunisti siamo uniti dal medesimo scopo, ma divisi sulla scelta dei metodi […] Questo per dimostrare la relatività del concetto di ‘sinistra’.
Inoltre… Ora che Freud e Marx hanno smascherato tante cose, non sarebbe opportuno guardare dietro alla facciata del fenomeno chiamato ‘la sinistra’? Mi infastidisce il fatto che la sinistra diventi sempre più spesso il paravento di interessi troppo liberali e puramente egoistico-imperialisti. Il politico interessato alla propria carriera, lo scrittore desideroso di dare più risonanza alla propria parola […] si schiereranno istintivamente a sinistra. Il socialismo diventa uno strumento nelle mani del liberalismo nascosto alle sue spalle. Non che il liberalismo in sé mi faccia paura: mi fa paura la mistificazione su così vasta scala… Secondo me, le persone oneste che fanno parte della sinistra dovrebbero sottoporla a un controllo sotto questo punto di vista. È ora di verificare i condizionamenti della coscienza non solo negli squali del capitalismo, ma anche nello studente che inveisce nei comizi.
Non sarò certo io ad assumermi un ruolo del genere. Sono contrario a tutti i ruoli e in particolare a quello di scrittore impegnato […] Inoltre sono sempre più convinto che tra non molto la scienza e la tecnica spazzeranno via questa divisione in destra e sinistra, mettendoci davanti a problemi completamente diversi.

1. L’intervista viene redatta tra il ’67 e il ’68, quando ancora esisteva qualcosa come il ‘proletariato’, sebbene già in fase di ristrutturazione (dall’operaio massa all’operaio sociale ‘terziarizzato’). Perciò senza inchiodare le riflessioni di Gombrowicz a quel contesto, quando afferma di stare “dalla parte del proletariato”, bisogna intendere: dalla parte dei ceti subalterni, condannati allo sfruttamento.

2. Gombrowicz punzecchia gli egoisti che, per interesse o per difendere le posizioni acquisite, da incendiari diventano pompieri; gli arrivisti che hanno saputo integrarsi e ora che beneficiano di anche piccoli ‘scampoli’ di potere si sono fatti moderati, guardano all’estremismo con distaccato senso, come amano ripetere, “di responsabilità”. Pensosi e penosi.

3. G. non risparmia gli atavisti, incapaci di sintonizzarsi sul necessario divenire e affermarsi dell’attuale, che guardano al passato con arcaica nostalgia. Contrappongono al proprio tempo solo il feticcio ricorsivo di una rassicurante proiezione all’indietro.

4. Invece la vera sinistra dovrebbe aspirare alla liberazione: dalla schiavitù del lavoro come tale, dal moralismo di una società coercitiva dai tratti ferocemente regressivi. Essere di sinistra implica necessariamente un tratto libertario e emancipatorio. Niente a che vedere con perbenismo, quieto vivere piccolo-borghese e Catoni – o Giannini – in cattedra.

5. Nulla ha a che fare, la sinistra, anche con l’ideologia liberal. Deve pensare e realizzare il futuro su basi drasticamente altre rispetto a quelle del modello vigente. Perché iniquo e perché è essenzialmente un ostacolo al raggiungimento di un auspicabilissimo stato di Beatitudine secolare diffusa.

6. Esiste una falsa coscienza intellettuale di sinistra che va smascherata. In Italia ne siamo sommersi. È una vera e propria epidemia che ha come suo bacino naturale il consorzio dei giustopensanti di ‘Stampubblica’: una conventicola pseudoerudita autoreferenziale e parassitaria i cui atteggiamenti insopportabilmente pedagogici hanno da lungo tempo divorziato dalla realtà. Li trovo dei professionisti della mistificazione. I ragionevoli guerrafondai che ieri propinavano il valore della precarietà e del blairismo, hanno libidinosamente issato le penne per far la ruota alla peggior sciagura politica che ci sia recentemente capitata, cioè Renzie, e oggi vorrebbero marciare verso il Cremlino direttamente dallo studio di Lilli Gruber – o far marciare tecnici e assistenti alla regia mentre loro, ripassati al trucco, rincasano in tassì in ZTL.

7. C’è poi “lo studente che inveisce nei comizi”. Magistrale perché smaschera il velleitarismo inconcludente. L’implicito è che la politica non è immediatezza; mai dunque soltanto indignazione e contestazione, ma una prassi programmatica in grado di intervenire sul reale per trasformarlo. Ben sapendo che niente di tutto ciò è possibile senza vera cultura politica, che non significa farsi indottrinare dagli imbonitori della ‘Repubblica senza Idee’, ma studio, conoscenza storica e solide premesse teoriche, concretamente assimilate.

8. Infine una profezia micidiale: nella modernità compiuta lo stato delle cose e il loro orientamento sono determinati anzitutto dal sapere tecnico-scientifico. In un mondo dove incombe una catastrofe climatica di proporzioni sistemiche, l’Intelligenza Artificiale trasforma in modo inesorabile conoscenza e lavoro, e, sempre su base tecnologica, si sta realizzando il superamento dell’antropologia del sapiens in qualcosa d’altro e di diverso, le discussioni infantili della politichetta, nostrana e non, assumono i contorni dell’irrilevanza.

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