Nelle principali città italiane (da Milano a Torino, Roma, Trieste e Imperia) si assistono a “gravi violazioni dei diritti dei richiedenti asilo”. La denuncia è contenuta nel rapporto dell’International Rescue Committe Italia, dal titolo “Attendere prego” e redatto con la collaborazione delle associazioni Le Carbet, Mutuo Soccorso Milano, Naga, Asgi e Intersos. L’organizzazione statunitense fondata da Albert Einstein, che dal 2017 ha anche una sede a Milano, ha esaminato con interviste e analisi dei dati le condizioni che si trovano ad affrontare le persone che arrivano nel nostro Paese e chiedono protezione. Una condizione al limite della dignità umana e della quale in pochi sembrano volersi occupare davvero. “Le persone”, scrive la ong, “devono affrontare attese prolungate mentre gli Uffici immigrazione prendono in carico le loro richieste di protezione, oppure vengono respinte dalle questure”. E “questi ritardi violano la normativa in materia di protezione internazionale e lasciano le persone in situazioni precarie, incapaci di accedere a un alloggio attraverso il sistema di accoglienza, al mondo del lavoro formale e di godere degli altri diritti connessi alla richiesta di protezione internazionale”.

La scarsa gestione delle domande e il caso di Milano – La ong si è concentrata proprio sulla difficoltà burocratiche del sistema italiano. Si legge ancora nel report, “a prescindere dal numero di richieste di protezione internazionale presentate ogni anno, i meccanismi di gestione del fenomeno migratorio elaborati dalle autorità italiane si sono rivelati inidonei a far sì che le persone in arrivo potessero accedere alla procedura per il riconoscimento della protezione nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge”. Nella maggior parte dei casi, “l’amministrazione giustifica disservizi e ritardi con l’insufficienza di personale”, ma secondo Irc “tali disservizi e ritardi sembrano essere dovuti anche a scelte volte a limitare l’accesso al diritto a chiedere protezione internazionale“.

L’analisi è partita dal caso Milano, dove la ong evidenzia come il numero delle richieste ha continuato a crescere (da 6.393 nel 2022 a 6.659 di agosto 2023). Ma a questo non ha corrisposto un aumento proporzionale degli slot mensili per le registrazioni in Questura. Nel capoluogo lombardo, da un anno si è cercato di trovare una soluzione all’affollamento davanti alla questura di via Cagni passando alla procedura online di prenotazione degli appuntamenti. La soluzione non ha però dato i risultati sperati: meno di un quarto di persone è riuscito a fissare un appuntamento in questura. “La sperimentazione della procedura online ha infatti avuto ripercussioni negative di diverso tipo sui vari soggetti coinvolti”, scrivono. “La differenza”, si legge è “che le lunghe code sono diventate invisibili agli occhi dei più”. E “la digitalizzazione della procedura, inoltre, ha creato nuove barriere di accesso ai diritti, non considerando che non tutte le persone richiedenti protezione hanno a disposizione dispositivi elettronici (come ad esempio smartphones o computer) per accedere al portale online, oltre che le competenze per caricare documenti in formato elettronico e gestire una casella di posta elettronica”. Infine il passaggio al web “ha rappresentato di fatto una delega al terzo settore di un dovere della Pubblica Amministrazione e uno spostamento del peso economico e organizzativo dalle autorità alle realtà che forniscono supporto alle persone”. Ha “deresponsabilizzato le autorità, che restano inadempienti agli obblighi di legge”. Senza dimenticare che, sostengono, “il cambiamento del sistema ha lasciato scoperte alcune zone grigie, lasciando spazio al diffondersi di prassi inusuali e potenzialmente illegittime poste in essere ai danni dei richiedenti asilo”.

I disagi in tutta Italia – Ostacoli alle richieste di protezione sono riscontrabili in tutta Italia. “I ritardi delle questure italiane nel registrare le domande sono un tema che attraversa l’Italia e che vede violato quotidianamente un diritto garantito dall’ordinamento italiano, europeo e internazionale“. A Torino, ad esempio, “le persone che intendono chiedere protezione devono presentarsi innumerevoli volte davanti agli uffici della Questura mettendosi in fila anche alle 4 del mattino, e quando finalmente ottengono un appuntamento, questo viene fissato a 3 o 4 mesi di distanza”. A Trieste “le persone aspiranti richiedenti protezione sono costrette a fare molteplici tentativi prima di poter accedere agli uffici della Questura e riportano di essersi imbattute in atteggiamenti respingenti da parte delle autorità competenti, che talvolta tentano di reindirizzarle verso altri uffici o li allontanano senza ulteriori spiegazioni”. A Imperia, “i tempi di attesa variano. In termini generali, tuttavia, anche in questa città i tempi previsti dalla normativa non vengono rispettati, e gli appuntamenti per la formalizzazione della richiesta vengono fissati anche a cinque mesi di distanza dalla manifestazione della volontà di chiedere protezione”. Stesso discorso “anche a Bologna e Napoli”, dove possono passare “anche 7 o 8 mesi. A Roma osservano come “la situazione sembra essersi aggravata negli ultimi mesi, in particolare dalla fine del mese di ottobre del 2023, momento a partire dal quale sono centinaia le persone che attendono in fila – anche di notte – davanti alla Questura”. E “accamparsi davanti agli uffici della Questura è l’unica “soluzione” anche per gli aspiranti richiedenti asilo a Firenze”.

Le proposte – Irc Italia chiude il suo report con una serie di raccomandazioni rivolte al governo Meloni e alle istituzioni locali. Al primo posto, naturalmente, ci sono le necessità di maggiori risorse “per rispondere tempestivamente alle richieste”, condizione imprescindibile per migliorare il sistema. L’obiettivo finale, concludono, è quello di poter “garantire che tutte le persone richiedenti possano registrare la loro intenzione di chiedere protezione indipendentemente dalla nazionalità, dalla lingua parlata, dalla situazione socioeconomica, dal livello di alfabetizzazione digitale o da altre circostanze”. Infine uno tema urgente è quello dell’uniformità della procedura fra città diverse. La richiesta della ong è di “stabilire a livello nazionale degli standard minimi per le procedure di registrazione delle richieste di protezione ed eliminare l’imposizione di requisiti documentali non necessari da parte di alcune questure”. I problemi e gli ostacoli sono chiari, ora per riuscire a fare passi avanti serve la volontà politica.

Foto © Marco Passaro/Agenzia Fotogramma

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