Moda e Stile

Walter Albini, una mostra (imperdibile) per riscoprire un genio dimenticato: la storia del primo vero stilista italiano

Quasi 40 anni dopo la morte prematura del designer, la Fondazione Museo del Tessuto di Prato dedica una mostra a Walter Albini, padre nobile del prêt-à-porter e pioniere della moda Made in Italy

di Beatrice Manca
Walter Albini, una mostra (imperdibile) per riscoprire un genio dimenticato: la storia del primo vero stilista italiano

Stilista visionario, dandy e icona degli anni Settanta, padre nobile del prêt-à-porter e pioniere del Made in Italy. Walter Albini è una figura che meriterebbe di essere riscoperta, conosciuta e celebrata per come ha saputo cambiare il panorama della moda italiana. Un’occasione unica per conoscerlo è la mostra Walter Albini. Il talento, lo stilista, al Museo del Tessuto di Prato. Il ricco percorso espositivo – quasi 400 tra disegni, abiti e accessori – non è solo il racconto biografico di un genio ingiustamente dimenticato, ma un tuffo negli anni effervescenti che hanno creato la moda italiana così come la conosciamo oggi.

La mostra su Walter Albini al Museo del Tessuto di Prato – Da segnare in calendario: la mostra è visitabile fino al 22 settembre 2024 alla Fondazione Museo del Tessuto di Prato. Un luogo che da solo varrebbe già il viaggio: è il più grande centro in Italia dedicato alla valorizzazione dell’arte tessile e della sua antica tradizione. L’esposizione, articolata su tre piani cronologicamente divisi, nasce da una generosa donazione di Paolo Rinaldi, storico collaboratore di Albini. Un patrimonio di più di 1.700 oggetti tra bozzetti, disegni, fotografie, libri, abiti e tessuti appartenuti allo stilista, capaci di raccontare il suo lavoro tra moda, teatro e cinema.

Le co-curatrici Daniela Degl’Innocenti ed Enrica Morini hanno condotto un solido lavoro di ricerca per delineare un ritratto a tutto tondo dello stilista. Si parte dall’infanzia a Busto Arsizio, dove nacque nel 1941, e dalla scelta di iscriversi a una scuola di moda a Torino, a quei tempi l’unica esistente. Una strada senz’altro poco comune per un ragazzo dell’Italia del dopoguerra: Albini era l’unico maschio in una classe di quindici ragazze, eccezionalmente ammesso in una scuola femminile. Ma non c’erano dubbi che fosse quella la sua vocazione: disse di aver imparato a disegnare prima ancora di saper scrivere, in particolare i vestiti, che ricalcava dalle riviste cambiando sempre qualche dettaglio.

I primi lavori furono come illustratore di moda, per “Mamme e Bimbi” e poi per il “Corriere Lombardo”. Ma fu Parigi, gorgogliante di talenti e di sperimentazioni, che gli aprì gli occhi sul futuro della moda. Nel 1963 incontrò Krizia (Mariuccia Mandelli) che lo mise subito all’opera. A rivederle oggi, le creazioni di quel periodo colpiscono per la modernità disarmante: gli abiti in maglia non sfigurerebbero nelle vetrine di qualsiasi negozio. Walter Albini faceva parte di un drappello di designer freelance che prestavano la propria mano a diversi brand contemporaneamente – spesso facendosi concorrenza da soli. Nella sua carriera, Albini ha disegnato per Cadette, Billy Ballo, Princess Luciana, Trell, Callaghan Montedoro, Paola Signorini, Glans, Annaspina, Cole of California, Maska.

…e Albini creò il prêt-à-porter – Sotto molti aspetti, Walter Albini ha guidato il cambiamento del settore tessile di quel periodo. Erano, infatti, gli anni inquieti dei movimenti giovanili, delle Summer of Love, della controcultura, del pacifismo: mentre i ragazzi protestavano in strada, la moda viveva la sua stagione più rivoluzionaria. I tempi della couture francese e dell’abito su misura erano sempre più lontani: si iniziava a creare in serie una moda pronta da indossare, alla portata di tutti, capace di rinnovarsi a ogni stagione. Stava nascendo il prêt-à-porter, che avrebbe reso grande l’Italia nel mondo. Fino ad allora, gli abiti venivano creati dai sarti. Vogue, invece, consacrò Walter Albini ‘stilista’ in un articolo del 1967. E, ripensandoci oggi, si possono intravedere in lui molte caratteristiche di quelli che oggi chiamiamo ‘direttori creativi’. Un’impronta personale, forte e riconoscibile, un’allure mitologica – spesso accuratamente costruita a tavolino –in cui stile e talento sono pari solo alle bizzarìe, ai vezzi e ai capricci capaci di far saltare contratti. All’inizio degli anni Settanta, Albini era ormai un nome affermato con due linee – una omonima e un’altra a marchio Misterfox.

Guardando gli abiti accuratamente disposti nelle sale della mostra, si vede chiaramente l’amore di Albini per gli anni Venti e successivamente per i tagli anni Trenta. Le tavole che disegnava, con una mano che farebbe impallidire qualsiasi rendering, sono veri e propri quadri Art Déco. Le linee sinuose degli abiti a fiori, i cappelli cloche e le scarpe T-bar sembrano usciti dalle pagine di un romanzo di Scott Fitzgerald. Insomma: Albini inventò il revival, che tanto appassiona ancora i designer, mai stufi di pescare negli archivi né di citare le icone del passato. La storia di Albini è una storia di successi, sì, ma anche di fallimenti: come un trapezista, si gettava sempre in avanti, sfidando il vuoto, verso il progetto successivo. La vena artistica di Albini era capace di rinnovarsi ogni stagione, lasciandosi ispirare dai numerosi viaggi, combinando stili etnici e omaggi ai suoi miti – dal personaggio del Grande Gatsby al lavoro di Coco Chanel. E così, alle tute di ispirazione militare seguono borse-fazzoletto piegate come origami, alle giacche-kimono si affiancano stampe folk di Madonne circondate da fiori e rassicuranti gonne a quadri. E ancora: il minimalismo chic di certi completi coesiste con gli abiti in lurex e con le stampa Arlecchino. In lui si riconciliavano apparenti contraddizioni: precisione maniacale e gusto per la teatralità, progettualità meticolosa e generosità nelle spese.

Intuizioni, modernità e provocazioni di stile – Walter Albini contribuì a far nascere la filiera inventando, allo stesso tempo, un nuovo modo di produrre, raccontare e vendere la moda. Non era solo avanti sui tempi: sapeva coglierne lo spirito. Quando disegnava, non lasciava nulla al caso, nemmeno la pettinatura delle modelle, annotando già bijoux, scarpe e accessori. Inventò quello che oggi chiamiamo il ‘total look’. Spinse le collaborazioni tra brand – Etro per i tessuti stampati, per esempio, e Ferré per la gioielleria – e immaginò sfilate come show, usando musica e location per rafforzare una certa estetica.

Albini, in diverse collezioni, disegnò outfit gemelli per gli uomini e per le donne: l’unisex, per lui, non era una rivendicazione, ma l’espressione visiva di come stavano cambiando i rapporti di genere negli anni Settanta. Uomini e donne in blue jeans, alla ricerca di nuove libertà e nuovi modi di amare. Quando creava le collezioni maschili, poi, insisteva nel voler provare prima i capi su di sé. Le sue antenne sapevano intercettare i nuovi gusti del pubblico, i desideri e le inquietudini più profondi: per la collezione Autunno/Inverno 1976-77 di Trell “Guerilla Urbana” mandò in passerella passamontagna e boots che ricordavano molto – pure troppo – gli estremisti degli anni di piombo. Non passarono inosservate neanche le sculture che presentò nel 1977 alla Galleria Eros di Milano: una serie di falli che ‘indossavano’ le creazioni più riconoscibili degli stilisti dell’epoca. Walter Albini è morto nel 1983: il suo marchio nel 2023 è tornato sotto i riflettori perché Bidayat, società di Alsara Investment Group, ne ha acquisito la proprietà intellettuale (oltre che una parte degli archivi). Il suo rilancio sembrava legato al nome Alessandro Michele, che in effetti ne ha ereditato la vena camp, ma che ora è diventato il nuovo direttore creativo di Valentino. In attesa di capire quale sarà il futuro del marchio Albini, la mostra a Prato è il posto giusto per apprezzarne la storia.

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