Che si sia trattato di un colpo di fortuna oppure di predeterminazione, non ha grande importanza, a differenza di quel che pensavano i greci antichi per i quali la sorte e il destino costituiscono due forze contrapposte. L’esercito cinese di terracotta che Qin Shi Huang, il primo imperatore della Cina, nella seconda metà del terzo secolo a.C., volle fosse sistemato a difesa del suo Mausoleo, è stato scoperto ed è diventato Patrimonio dell’umanità. Un Luogo della Cultura, da visitare. Nella musealizzazione realizzata in situ.

Primavera del 1974. Provincia dello Shaanxi, a circa 30 chilometri a nord-est di Xi’an, la “città davvero ampia e bella, capitale del regno di Chengianfu”, descritta da Marco Polo ne Il Milione. Un gruppo di contadini tra i quali Zhifa Yang, che sono intenti a scavare un pozzo alla ricerca di acqua, entrano nella Storia per una scoperta epica. Dopo aver incontrato una concentrazione di materiale fittile antico, inconsueta anche per l’area scelta non lontano da un’area archeologica, e qualche “statua di guerriero”, segnalano i rinvenimenti alle autorità cinesi. “Ho preparato tre carri a due ruote e ho trasportato la statua e gli altri oggetti rinvenuti al museo del distretto di Lintong – racconta Zhifa Yang a swissinfo.ch – Mi sono detto: se non sono oggetti storici, li butto nel fiume, mi lavo e ritorno a casa”.

E’ il 29 marzo 1974. I responsabili del museo identificano la statua. Appartiene alla dinastia Qin e ha quindi un valore considerevole. I ricercatori inviati sul posto, pur procedendo con molta prudenza, non hanno difficoltà in breve tempo a rendersi conto che i “cocci” sono riferibili a delle figure umane. Tante. Tantissime. Figure di guerrieri. Non solo in frammenti. Le indagini che si protraggono fino a luglio 1975 permettono di individuarne circa 7300 tra guerrieri e cavalli, interi, oltre ad altre 72 in stato di conservazione più precario. Hanno dimensioni reali. Sono disposte ordinatamente, per file parallele, come si trattasse di un esercito schierato, in tre fosse. Che sono di dimensioni molto diverse. La più grande misura 230 metri in lunghezza e 62 in larghezza, per una profondità compresa tra i 4,5 e i 6,5 metri. La più piccola è di oltre 28 metri per più di 24 con una profondità di oltre 5 metri. Quella intermedia misura 124 metri per 98 con profondità di 5 metri.

Una meraviglia che l’imperatore cinese che realizzò la Grande Muraglia volle regalarsi e che tutti noi, da decenni, possiamo ammirare. Una delle più grandi scoperte archeologiche della seconda metà del Novecento. “L’ottava meraviglia del mondo”, come la definisce anche Yang Zhifa. Che diventa una sorta di celebrità. Viene assunto dal museo per firmare autografi per i visitatori. “All’inizio guadagnavo 300 yuan al mese, poi mi hanno dato 1000 yuan al mese fino al mio pensionamento”, racconta a swissinfo.ch. A questo punto sono in pochi a ricordarsi di Yang Zhifa. Le cui vicende personali, insieme a quelle degli abitanti del villaggio nel quale abitava prima del rinvenimento, ci restituiscono una storia con evidenti chiaroscuri. Già, perché la realizzazione del Museo implica che Yang Zhifa e gli abitanti della regione siano costretti a trasferirsi altrove: nel vicino villaggio di Qinyong, ossia “dei guerrieri Qin”. Tutti ricevono un indennizzo. Per molti insufficiente a colmare il dolore per l’abbandono dei propri luoghi.

Tra i milioni di persone che ogni anno visitano il Museo non sono molti a sapere di Yang e dei contadini che lo aiutarono nell’impresa e neppure di quelli costretti ad andarsene. Come se quella meraviglia che si può ammirare, Patrimonio dell’umanità, avesse dimenticato le storie delle persone. Insomma l’umanità necessaria. Imprescindibile.

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