Dicono in Inghilterra: Liverpool è la nostra Napoli. Non c’è ammirazione, ma presa di distanza: Liverpool è sempre stata ribelle e popolare, indomabile e rumorosa, allegra e scanzonata, lontana dai canoni della cultura dominante. La sua opposizione alle politiche lacrime e sangue di Margaret Thatcher negli anni Ottanta è stata pagata in mille modi e con sottile perfidia, a cominciare dai collegamenti ferroviari con Londra, tre volte inferiori a quelli con la vicina Manchester. Liverpool non ha mai perdonato la Lady di ferro per le misure che produssero migliaia di disoccupati e autentica disperazione. L’Anfield rumoreggiò, il giorno in cui il calcio ricordò con un minuto di silenzio la scomparsa dell’ex premier britannica, avvenuta l’8 aprile 2013. Liverpool da sempre sceglie in piena autonomia i suoi eroi. Rivendica la sua autocoscienza ed è qui che iniziano le affinità con Napoli, la città più maltrattata nell’immaginario collettivo degli italiani, salvo poi aggrapparsi a lei quando conviene. Do you remember la semifinale mondiale del 1990 Italia-Argentina, quando alla vigilia della partita Diego Armando Maradona difese Napoli meglio di un napoletano? Liverpool, come Napoli, è capace di regalare un tributo d’affetto ai suoi “eroi”, anche quando vengono da lontano. Ed è quanto avvenuto il 23 marzo in occasione di una partita, in campo le leggende Reds contro quelle dell’Ajax. L’eroe è stato Sven Goran Eriksson, impegnato in una durissima battaglia contro il cancro al pancreas.

L’allenatore svedese, 76 anni, ex Goteborg, Benfica, Roma, Fiorentina, Sampdoria, Lazio, Inghilterra, Manchester City, Costa d’Avorio, Messico, Leicester, Guangzhou, Shanghai, Shenzhen e Filippine, dopo aver svelato al mondo i suoi problemi di salute, confidò di avere un desiderio: guidare per un giorno il Liverpool. Il messaggio è arrivato nelle stanze dei Reds e, complice anche il suggerimento di Jurgen Klopp per trovare spazio, tempo e formula giusta, il sogno si è avverato in un week end lontano dalla luce dei riflettori, dominato dalle partite delle nazionali. Il video dell’ingresso in campo di Eriksson, gonfio per i farmaci, ma sorridente, accompagnato per mano da una bambina, è stato da brividi. L’Anfield, pieno come può esserlo solo uno stadio in cui calcio e comunità sono un corpo e un’anima, ha riversato applausi a scena aperta per il tecnico svedese. Accanto a lui, la leggenda di casa Steven Gerrard e altri illustri personaggi del passato, come l’ex centravanti spagnolo Fernando Torres. “La mia passione per il Liverpool risale all’infanzia – le parole dello svedese -. Mio padre, ancora vivo, era un grande tifoso dei Reds e mi portò più di una volta a vedere le partite di quei tempi lontani. Quando ero giovane, mi piaceva visitare il museo degli scarpini. Ho vissuto le gare del Liverpool da tifoso e non c’è una cosa più bella del momento in cui l’Anfield canta You’ll Never Walk Alone. Un momento davvero speciale, come questa giornata vissuta all’ombra del Liverpool. La mia malattia è una condanna, ma io cerco di non pensarci e di andare avanti nel miglior modo possibile. La vita è bellissima”.

Liverpool, che sta vivendo con l’animo in subbuglio l’addio di Jurgen Klopp dopo nove anni straordinari, ha mostrato ancora una volta la sua umanità profonda. Liverpool non lascia mai davvero soli i suoi eroi, anche tragici. L’esempio migliore è il report curato da una commissione indipendente per fare luce sui fatti di Hillsborough, quando il 15 aprile 1989, poco prima della semifinale di Coppa d’Inghilterra Liverpool-Nottingham Forest, morirono 96 persone, schiacciate dalla folla. L’indagine, accurata, fu fortemente voluta dall’associazione dei parenti delle vittime. Istituito nel 2009 dal governo britannico sotto la spinta delle famiglie delle autorità di Liverpool, il 12 settembre 2012 il report ristabilì la verità, dimostrando che la causa principale della strage era stata la mancanza di controllo della polizia, responsabile anche del tentativo di depistaggio delle indagini. L’allora premier britannico, David Cameron, fu costretto a chiedere scusa alla città. Persino il terribile Kelvin MacKenzie, direttore del Sun, il giornale che nel 1989 aveva sposato la causa della polizia e accusato i tifosi Reds, fece un mezzo passo indietro. Liverpool è questa: non molla mai, si tratti di accertare una verità scomoda o di ricoprire d’affetto i suoi “eroi”.

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