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Repressione nero su bianco: l’Arabia Saudita avrà un codice penale

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L’Arabia Saudita avrà per la prima volta un codice penale scritto. La bozza di 116 pagine, che doveva rimanere segreta, è stata condivisa pubblicamente e commentata da un iscritto all’Ordine degli avvocati e da due studi legali. Esperti del settore legale saudita ne hanno confermato l’autenticità. Amnesty International l’ha visionata.

In assenza di un codice penale, in Arabia Saudita i giudici si stanno attualmente basando sulla loro interpretazione della legge islamica (sharia) e della giurisprudenza per stabilire cosa costituisca un reato e per infliggere punizioni. Tali pratiche concedono ai giudici ampia discrezionalità e definiscono i reati e le pene in modo vago. Dunque, un codice penale dovrebbe migliorare la situazione. Invece no.

Altro che le riforme rivendicate dal principe della Corona Mohamed bin Salman e plaudite in Occidente grazie a una macchina pubblicitaria che acquista silenzi e assensi e promuove un’immagine glamour e progressista del regno saudita.

Si tratta, come ha titolato l’organizzazione per i diritti umani, di un “Manifesto per la repressione”. La bozza del codice penale si limita a disciplinare i reati discrezionali (ta’zir), per i quali le sanzioni non sono definite dalla legge islamica, senza includere i reati soggetti a pene fisse secondo la sharia (hadd o qisas), continuando dunque a lasciare ai giudici, in questi secondi casi, un’ampia libertà nel decidere se le prove raccolte siano sufficienti.

Nelle 116 pagine della bozza si rafforzano le misure repressive contro il dissenso, criminalizzando diffamazione, insulti e critiche al sistema giudiziario in termini vaghi e rischiando così di dar luogo a ulteriori violazioni delle libertà individuali. La bozza criminalizza anche le relazioni sessuali consensuali “illegittime”, le relazioni sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso, i comportamenti “indecenti” e la “imitazione” di un altro sesso attraverso l’abbigliamento e l’aspetto.

Particolarmente grave è la mancata menzione, e dunque l’assenza di punizioni, dei crimini in nome dell’onore, quali gli omicidi delle donne. La definizione di molestie è troppo vaga e lo stupro coniugale non è riconosciuto come reato.

La pena di morte continua a essere contemplata tra le principali sanzioni. Viene prevista, oltre che per omicidio e stupro, anche per “reati” quali apostasia e blasfemia. Non c’è un divieto di infliggere la pena capitale ai minorenni al momento del reato e l’età per la responsabilità penale è stabilita al compimento del settimo anno. Sono previste anche pene corporali come le frustate e l’amputazione delle mani per adulterio e furto.

Amnesty International ha scritto al Consiglio dei ministri dell’Arabia Saudita e alla Commissione per i diritti umani dell’Arabia Saudita per condividere le propria analisi e porre una serie di domande sulla bozza del codice penale. Il 4 febbraio la Commissione ha risposto negando l’autenticità della bozza e affermando che il codice penale è attualmente in fase di revisione legale. L’organizzazione per i diritti umani ha quindi invitato le autorità saudite a rendere pubblica la versione “ufficiale” della bozza, affinché possa essere rivista anche dalla società civile indipendente.

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