Cambiamenti radicali sono in atto nel mondo arabo e nel Medio Oriente, l’elemento catalizzante è stato sicuramente la guerra a Gaza, ma il processo di riallineamento politico in atto affonda le sue radici nella sconfitta dello Stato Islamico di alcuni anni fa. Fino alla distruzione del Califfato la linea di demarcazione era essenzialmente religiosa, gli sciiti, sotto l’ombrello dell’Iran, da una parte ed i sunniti, sotto quello dell’Arabia Saudita, dall’altra. Una dicotomia questa forgiatasi all’indomani della rivoluzione Khomeinista e cementata dagli Stati Uniti e dai loro alleati occidentali. La caduta della dinastia Pahlavi, alleato principale di Washington, nel mondo mussulmano spinse gli Stati Uniti ad avvicinarsi all’Arabia Saudita che finì per svolgere quel ruolo. Riad fu ben felice di stringere una solida alleanza con Washington contro la repubblica iraniana perché quel modello di governo, ossia repubblicano, minacciava la legittimità del regno saudita, paura condivisa dagli altri stati del Golfo Persico.

In altre parole, tutte le monarchie assolutiste nate nella regione all’indomani della Seconda guerra mondiale per mano, si badi bene, dei vincitori temevano che la rivoluzione iraniana accendesse il fuoco rivoluzionario e repubblicano in casa loro. Il fatto che l’Iran sia una nazione a maggioranza sciita mentre l’Arabia Saudita e gli altri stati del golfo sono sunniti, ha facilitato i due schieramenti religiosi. Nell’area sunnita ci sono anche la Palestina, l’Egitto, la Tunisia, la Giordania e la diaspora palestinese per decenni ha trovato rifugio e sostegno principalmente nel circuito sunnita. Anche i gruppi armati mussulmani sono nati principalmente all’interno della ‘resistenza’ sunnita, l’Olp, Al Qaeda, Hamas, l’ISIS, fatta eccezione per gli Hezbollah libanesi, la maggior parte del terrorismo mussulmano era di matrice sunnita. L’Iran svolgeva ogni tanto il ruolo di finanziatore, ma solo dei gruppi sciiti o si adoperava per la causa palestinese, celeberrime le azioni filantropiche, ma solo in quanto arcinemico di Israele.

Oggi solo i residui dello stato Stato Islamico, che in Siria considerava l’Iran il nemico vicino più importante in quanto finanziatore del regime sciita di Assad, agiscono ancora secondo questa classificazione. Il 3 gennaio scorso, lo Stato Islamico ha infatti portato a termine un grosso attentato in Iran, a Kerman, dove sono morte 100 persone. Il resto del mondo mussulmano si sta posizionando lungo nuove linee conflittuali. Il fronte di resistenza a favore di Gaza, ad esempio, e’ composto da sunniti e sciiti, gli Houthi sono a maggioranza sciita e sono finanziati dall’Iran in quanto coinvolti da quasi un decennio in una guerra per procura contro l’Arabia Saudita, che appoggia e finanzia il vecchio regime.

Anche se sciita è la matrice religiosa degli Houthi è meno importante di quella politica, si considerano infatti un gruppo politico e indipendentista e guardano all’Arabia Saudita come un potere straniero oppressore. L’Iran appoggia anche e finanzia militarmente Hamas, organizzazione palestinesi a maggioranza sunnita. I nuovi schieramenti sono decisamente politici e riflettono cambiamenti radicali nei paesi mussulmani. Da una parte c’e’ il fronte del consolidamento, quello per cui Israele è un dato di fatto, nazioni come l’Egitto, la Turchia governate da moderni dittatori; nazioni come la Giordania che da sempre mantiene un’alleanza strategica con Londra e Washington; nazioni come l’Arabia Saudita ed i paesi del Golfo che si stanno reinventando quali nazioni del futuro e vogliono essere parte del commercio internazionale, ben pronte a fare affari con ciò che fino a pochi mesi fa’ si pensava fosse il gigante geopolitico nell’area: Israele.

Per queste nazioni mantenere l’alleanza con Stati Uniti ed occidente è fondamentale non solo economicamente ma strategicamente. Nessuno di questi regimi ha intenzione di difendere
la questione palestinese, tantomeno aprire le frontiere ai rifugiati mettendo così a rischio la propria stabilità. L’altro fronte e’ quello della resistenza ad oltranza, il fronte rivoluzionario guidato
dall’Iran, unica nazione dell’area fuori dei giochi di potere ed in grado di sostenere finanziariamente la lotta, per ora in difesa della Palestina, ma in realtà ad oltranza contro Israele. Sotto l’ombrello iraniano troviamo gli Hezbollah e gli Houthi ma anche una grossissima fetta della popolazione del mondo arabo sia sciita che sunnita. Per costoro i propri regimi, sia quello giordano, egiziano o saudita, sono dei traditori, invece di sostenere i fratelli palestinesi appoggiano la politica statunitense pretendendo di “negoziare” una soluzione. E più questo sentimento si protrae nel tempo, più cresce il discontento popolare.

Morale: la guerra a Gaza sta diventato l’elemento catalizzante di un confronto politicamente più maturo, non più a carattere religioso ma con motivazioni socioeconomiche reali, uno scontro tra élite privilegiate e una popolazione che le disprezza. Se da questo scontro possa emergere un nuovo assetto geopolitico è impossibile dirlo, ma di certo il ruolo dell’Iran, quale difensore del popolo mussulmano sta guadagnando terreno nell’immaginario collettivo.

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