L’ultimo gesto è indossare la fascia tricolore. “Non ho avuto paura dei clan Parisi, Capriati, Strisciuglio. Non avrò paura di voi. Aspetterò con serenità la commissione per l’accesso. Avrete tutto il mio supporto perché Bari non piega la testa”. Antonio Decaro conclude così i suoi 45 minuti di conferenza stampa, indossando la fascia “da uomo delle istituzioni” e lasciandosi abbracciare da cittadini, colleghi di partito, consiglieri comunali. L’aula del Consiglio comunale di Bari è stracolma. Ci sono anche i due candidati alle primarie del centrosinistra del prossimo 7 aprile, Vito Leccese e Michele Laforgia, rispettivamente braccio destro del sindaco e avvocato penalista di punta della città. Si salutano, si baciano, sembrano persino lontani gli screzi e le divisioni che pure hanno contraddistinto questo primo assaggio di campagna elettorale. Ci sono tutti. Nonostante “volessi stare da solo”, ha detto.

La reazione alla notizia che ha sconvolto Bari, è tutta in quella stanza. Anzi. Già nell’anticamera. Perché a tappezzare le pareti, per accogliere la stampa e il pubblico, ci sono centinaia di articoli di giornale che parlano del sindaco che lotta contro la mafia. E da lì, da quel muro di notizie che lo riguardano, passa anche lui, prima di entrare in aula e poggiare sul banco il faldone da oltre mille pagine. Lo stesso che ha depositato in Prefettura alle 12 di lunedì 18 marzo. Ventiquattro ore prima della telefonata con cui il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi gli comunicava di aver nominato la commissione per l’accesso che avrà il compito di valutare se il Comune di Bari sarà sciolto per mafia oppure no.

E nei 45 minuti di conferenza stampa Antonio Decaro è un fiume in piena. Un lungo sfogo tra rabbia e lacrime, interrotto solo dagli applausi del pubblico. Ma prima di iniziare, è dalle persone in prima fila che sceglie di andare e stringersi in un abbraccio commosso. Sono baresi che hanno avuto il coraggio di denunciare le estorsioni da parte dei clan della città. Il più lungo è per la commerciante che ha subito minacce, estorsioni e persino il sequestro di persona della madre, da parte della mala barese. Affronteranno a giorni il processo, “sarò al tuo fianco, non ti lascio sola”, le dice Decaro con la voce rotta dall’emozione.

Apre uno ad uno i 23 fascicoli del faldone. Ci sono tutti i suoi 10 anni da sindaco: denunce, minacce ricevute, appalti revocati per sospette infiltrazioni, aziende comunali commissariate. Un dossier riguarda Giuseppe. Anzi, Giuseppe de Benedictis – lo scriva il cognome, dice a ilfattoquotidiano.it –, ambulante del mercato rionale. Per 11 anni è stato vittima di usura ed estorsione. Per 11 anni ha dovuto pagare un pizzo da 250 euro a settimana. Ogni sabato. Poi, però, ha dovuto chiedere un prestito da 7mila euro ad una persona. Quella persona era di uno dei 14 clan della città. Quel prestito si è trasformato in una costante e crescente richiesta usuraia. E quando la rata non è bastata più, sono passati a prendersi metà della bancarella. Poi a prendersela per intero. Alla fine, Giuseppe, da proprietario era diventato l’operaio dei boss. Ma non per il fisco, che continuava a chiedergli conto delle tasse perché ufficialmente era ancora lui il titolare.

L’incubo finisce nel 2021. Oggi i suoi estorsori sono tutti in carcere. “Decaro aveva ricevuto una denuncia anonima. Mi ha dato coraggio, mi è stato vicino fisicamente e moralmente. Ho denunciato. Lui è stato il bagliore nella notte buia”. Giuseppe oggi è vicepresidente della neo-nata associazione anti racket e anti usura “Gaetano Giordano Rita Atria”. “Oggi per me è un atto di legittima difesa”, dice subito. Sul monitor al suo fianco scorrono le foto di Giacomo Olivieri, ex consigliere regionale e di sua moglie Maria Carmen Lorusso, (ormai ex) consigliera comunale, arrestati con l’accusa di voto di scambio. Olivieri con gli esponenti di Forza Italia. Olivieri che chiede di votare Fratelli d’Italia. Olivieri nella foto di gruppo del centrodestra.

“Perché li avete candidati voi”, urla Decaro rivolgendosi ai parlamentari di centrodestra. Che appaiono in una foto successiva, mentre chiedono al ministro Piantedosi, in un incontro del 27 febbraio scorso, di fare chiarezza su tutta la faccenda. “E’ inquietante vedere questa foto – tuona Decaro – uno è il viceministro della Giustizia Sisto, l’altro è il viceministro della Salute Gemmato, e l’altro è il vicepresidente della commissione parlamentare Antimafia D’Attis. Membri del governo che vanno da un altro membro del governo per provare a sciogliere il Comune per mafia”, dice fra gli applausi. Poi l’affondo: “Avete dichiarato che vi riprenderete Bari. Parlate come Gennaro Savastano ‘ci ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost’, ma Bari non è mia, non è vostra. E’ dei baresi”.

“Sono sotto scorta da 9 anni – dice ancora – per aver negato ad un clan di festeggiare la Candelora con un rito della cultura mafiosa, bloccando la strada del quartiere Libertà, addobbandola di luminarie e portando in processione la statua di Gesù Bambino con anelli e collane provento delle ricettazioni. Ma se c’è solo un sospetto su di me, rinuncio alla scorta. Perché non posso essere contemporaneamente un sindaco antimafia e un sindaco per il quale viene chiesto l’accesso al comune per verificarne lo scioglimento”. Dal fondo della sala, arriva la voce di Michele. Incita il sindaco ad andare avanti. Michele è un negoziante che ha ricevuto minacce ed estorsioni. Anche lui costretto a pagare il pizzo ad un uomo del clan Parisi nascosto sotto la divisa apparentemente limpida di una municipalizzata del Comune. Michele ha denunciato. Anche lui è stato accompagnato dal sindaco, urla “forza Antonio” ogni volta che Decaro ricorda che Bari resiste ai clan. “Ho paura – conclude – per me e per la mia famiglia. Ma un sindaco non si può girare dall’altro lato. E io non l’ho fatto e non lo farò. Ma soprattutto, non ho paura di voi”.

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