Tutte le storie raccontate dagli albori dell’umanità, in un modo o nell’altro, parlano della morte. La morte fisica che significa anche distacco da qualcuno cui abbiamo voluto bene, abbiamo amato, da qualcuno che faceva arte della nostra vita. Il film Another End è solo l’ultima di queste storie che hanno il compito, inevitabile, di darci consapevolezza della fine o, forse, di sdrammatizzarla catarticamente per consentirci di andare avanti nella nostra vita. Il paradosso è che solo i vivi, infatti, possono raccontare la morte senza mai averne avuto l’esperienza.

Quello che i vivi sperimentano, tuttavia, in prima persona o nelle storie che vengono loro raccontate, è la fine dell’altro da sé, essere che vivente non lo è più, in senso letterale ma a volte anche solo metaforico. Basti pensare alla fine di tanti rapporti d’amore. Il film di Piero Messina pare un episodio distopico di Black Mirror girato da una mano simile a quella di Sorrentino. La profondità del tema però nobilita e fa splendere questa storia. In un futuro che sembra già presente una industria farmaceutica/informatica riesce a estrapolare i ricordi e tutte le esperienze di chi tragicamente o meno lasci questo mondo e che nel film viene chiamato drammaticamente l’ “assente’.

Il ‘pacchetto di dati’ così ottenuto viene inserito temporaneamente e per un periodo rigidamente prefissato in un volontario/a che – previa lauta retribuzione – diventa a tutti gli effetti lo scomparso. Da quel momento parla e si comporta esattamente come farebbe lui/lei. La trovata fantascientifica serve a dare il tempo ai ‘sopravviventi’ di prendere coscienza e di accettare l’inevitabile distacco.

Apparentemente, sembra l’ennesima trovata cyberpunk di un cinema in perenne ansia distopica, un epigono di Snow Crash di Neal Stephenson invece, a mano a mano che il film procede, si fa strada una profondità lucida e agghiacciante che ci parla della nostra caducità, della difficoltà di lasciare andare persone, affetti e cose che incrostano la nostra vita con il loro amore, affetto, amicizia, passione.

Piero Messina è solo al suo secondo film da regista ed essendo un giovane sulla quarantina è ovviamente influenzato nel suo percorso artistico da grandi attuali come Sorrentino. L’abilità nella creazione delle sequenze più sorprendenti e la presenza pervasiva e significante delle musiche lo avvicinano parecchio al vincitore di un premio oscar e di otto David di Donatello (e non solo). Non è certo un caso che proprio con Sorrentino come attore abbia realizzato anni fa il cortometraggio Frames of Life per Giorgio Armani.

Dopo Oppenheimer, Barbie, La zona di interesse, Io Capitano e, soprattutto, Poor Things, possiamo dire che il 2024 continua a riservare piacevoli soprese al cinema, alla faccia di tutti i cinepanettoni. In questo caso, un altro italiano fa film come se lavorasse ad Hollywood e gestisce con naturalezza attori internazionali (in Another End ci sono la bellissima Berenice Bejo e Gael Garcia Bernal).

Another End ci induce a pensare a noi stessi e alla nostra vita: chi di noi utilizzerebbe il ritrovato del film se esistesse davvero? Vorremmo veramente rivivere per qualche settimana la presenza di chi sappiamo averci già lasciato per sempre? Si esce dal normale intrattenimento cinematografico per entrare in un pesante inestricabile dilemma filosofico. Proprio a questo però dovrebbero servire tutte le storie che si raccontano. Come scriveva Saul Bellow: “La morte è il fondo scuro che serve a uno specchio se vogliamo vedere qualcosa”.

Another End vi aspetta al cinema insieme alla Primavera, dal 21 marzo.

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