Il governo Meloni si prepara a restaurare le Province, ma solo dopo le Europee. Il disegno di legge delega per tornare all’elezione diretta, firmato dalla sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro (Fratelli d’Italia), è ormai quasi pronto: ma spaventa la premier, che – racconta chi segue il dossier – ha ordinato ai suoi di non toccare l’argomento fino al voto di giugno. Meloni, infatti, è convinta che la resurrezione delle poltrone di 107 consigli e giunte provinciali le metterebbe contro l’elettorato. Mentre la maggioranza di centrodestra in Parlamento, con la sponda del Pd, è compatta per il ritorno alle origini. “Dopo le Europee chiederemo alla presidente del consiglio di incontrarci di persona e dirci cosa intende fare davvero il governo”, dice al fattoquotidiano.it il dem Michele De Pascale, sindaco di Ravenna e presidente dell’Unione delle province (Upi).

La riforma (abortita) di Delrio – Attualmente infatti è ancora in vigore lo “svuotaprovince” targato Graziano Delrio, legge che doveva durare due anni e invece ad aprile ne compirà dieci. Si tratta di una formula transitoria, studiata nel 2014 dall’allora ministro delle Autonomie del governo Letta, per traghettare gli enti verso la liquidazione definitiva, che avrebbe dovuto essere sancita dalla riforma costituzionale targata Renzi-Boschi. La bocciatura del referendum del 2016, però, fece abortire il piano. Seppur rivoluzionate, quindi, le Province restano sempre in vita: i fondi sono stati tagliati, ma sono rimaste le competenze relative a temi importanti, tra cui strade, scuole e tutela dell’ambiente. Per gli organi di governo è stata prevista l’elezione di secondo livello e ai loro componenti è stata tolta l’indennità, ripristinata per i presidenti (in formato ridotto) un paio di anni fa.

I numeri – Il sistema elettorale in vigore presenta diversi problemi. Sia il presidente che il Consiglio provinciale vengono eletti dai sindaci e dai consiglieri comunali del territorio: il primo resta in carica quattro anni, il secondo (composto da sindaci e assessori comunali) solo due. La composizione dei Consigli, però, subisce un forte ricambio a seconda della tenuta delle giunte dei diversi Comuni: se un sindaco cade, infatti, non può più continuare a far parte dell’organo. E scegliere il suo sostituto non sempre è facile, visto che non possono essere eletti i primi cittadini il cui mandato scade entro i 18 mesi. Dall’altro lato, secondo l’Unione delle province, i risparmi ottenuti sono stati miseri: si citano 52 milioni e 473mila euro dal 2014 a oggi, l’equivalente delle indennità del personale politico. Poi ci sono 16mila dipendenti non più necessari, da cui però, sostiene l’Upi, non è derivato alcun risparmio: a parte i circa tremila pensionamenti, infatti, gli altri sono stati spostati nelle Regioni, nei centri per l’impiego e neiministeri. Ma in questo modo sono aumentati i loro premi di produttività, che nelle province in media non superano i mille euro e nelle Regioni in media arrivano a quattromila.

I ddl parlamentari – Salvini era contrario all’abolizione già all’epoca della Delrio. Dopo essersi scontrato sul tema con il M5s ai tempi del governo gialloverde, l’anno scorso ha fatto una promessa: “Conto che questo 2023 sia l’anno dell’avvio delle autonomie e della reintroduzione della Provincia. Con un presidente, con una giunta, con dei consiglieri, dei dipendenti”, e stipendi per tutti. I suoi senatori lo avevano preceduto: a inizio legislatura in commissione Affari costituzionali è stato presentato un disegno di legge a firma di Daisy Pirovano e del capogruppo Massimiliano Romeo, insieme a uno parallelo di FdI, a firma di di Marco Silvestroni e Gaetano Nastri. Sono seguiti testi analoghi del Pd e Forza Italia, quest’ultimo a firma della vicepresidente di palazzo Madama, Licia Ronzulli. Ma l’annuncio del ddl governativo ha bloccato l’esame delle proposte parlamentari.

Gli sponsor – Nell’esecutivo il principale sponsor del ritorno delle Province è il ministro per le Autonomie, il leghista Roberto Calderoli: “La legge Delrio è la più grossa vaccata nella storia del paese”, ha detto poche settimane fa incoraggiando il disegno di legge regionale del governatore siciliano Renato Schifani (poi bocciato) per reintrodurre l’elezione diretta sull’isola. Sul Foglio è comparsa la notizia secondo cui Salvini è pronto a far presentare un nuovo disegno di legge alla Camera, e martedì Calderoli è stato avvistato a Montecitorio con il presidente dell’Anci, il dem Antonio Decaro, con cui condivide la battaglia. Certo, l’impopolarità della restaurazione spaventa anche il Pd in vista delle Europee. Ma dopo il voto, fa sapere De Pascale, l’Upi pretenderà “una roadmap o si rischia di arrivare al 2027”, cioè alla fine della legislatura. Nel 2014 Meloni aveva presentato un disegno di legge per l’abolizione, adesso i suoi chiedono che tornino le poltrone. Mentre Salvini tenta di approfittarne, cercando sponde nei dem.

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