L’Italia ha bisogno più di altri grandi Paesi europei della direttiva Case Green. Per far risparmiare i cittadini in bolletta, decarbonizzare il settore e ridurre le emissioni, riqualificare il parco immobiliare nazionale. Che è vecchio, lo sarà sempre di più ed è la prima protezione su cui i cittadini possono contare per affrontare gli effetti via via più impattanti dei cambiamenti climatici. È una necessità nazionale, ancor prima di essere l’unica strada per arrivare a un parco edifici europeo a emissioni zero entro il 2050.

Che il Parlamento Ue, dunque, abbia approvato il testo della direttiva sulla prestazione energetica degli edifici è comunque una buona notizia, nonostante siano molte le misure ammorbidite rispetto al testo adottato un anno fa da Strasburgo, per andare incontro alle richieste degli Stati (e quindi ai veti del Consiglio Ue nel trilogo).

Altro che “ennesima follia”, come l’hanno definita – tra gli altri – il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini e il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. E non è mancato l’ennesimo teatrino, con cartellino rosso e fischietto suonato a favor di telecamera dal leghista Angelo Ciocca. Un altro show per lui, a cui la presidente di turno dell’Aula ha chiesto di allontanarsi, definendo il suo gesto “deplorevole e senza precedenti” (ma purtroppo i precedenti ci sono). Ennesimo imbarazzo per l’Italia che continua, anche quando potrebbe evitarlo, ad assumere posizioni di retroguardia.

Le opportunità offerte dalla direttiva sono tante, ma è facile cercare consensi alimentando le paure. Legittime, dopo crisi, pandemia e guerra. Però sui numeri non si può barare.

In Ue, gli edifici sono responsabili del 40% del consumo energetico europeo e del 36% delle emissioni dirette e indirette di gas serra. In Italia, il settore edilizio rappresenta quasi la metà dei consumi finali di energia e quasi il 20 per cento delle emissioni nazionali di gas serra legate all’energia ed è uno dei settori dove è più difficile ridurle. Neppure le incentivazioni per l’efficienza energetica, in vigore ormai dal 2007, hanno portato chissà che vantaggi, perché gli schemi di incentivazione vanno legati alla riduzione delle emissioni che, in questo settore, dal picco del 2005 sono scese solo del 12%.

Ma c’è anche un altro aspetto. Come ha spiegato in queste ore Davide Panzeri, responsabile del programma Europa di Ecco, il think tank italiano per il clima “riqualificare il parco immobiliare nazionale offre una grande opportunità di rilancio della filiera edilizia, motore principale della crescita economica interna”. E secondo le stime dell’Associazione nazionale costruttori edili, un miliardo di euro di investimenti in costruzioni produce un valore aggiunto di un miliardo e 100 milioni e genera oltre 15mila nuovi occupati diretti e indiretti. Altro dato: secondo il Rapporto sulla Certificazione Energetica degli Edifici 2023 redatto da Enea e CTI (Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente) al 2021 il 54% degli edifici era nelle classi F e G contro il 57,8% del 2021. E se in un Paese come l’Italia, dove il 53,7% degli edifici risale a prima del 1970, l’efficientamento energetico è più complesso, è pur vero che il valore di un immobile dipende anche dall’Ape (Attestato di prestazione energetica).

Ma bisogna investire. E la Commissione europea stima che entro il 2030 saranno necessari 275 miliardi di euro di investimenti all’anno (152 in più rispetto a oggi) per la svolta energetica del parco immobiliare. La pecca è che non ci siano finanziamenti dedicati, ma i Paesi potranno attingere ai fondi Ue, come il Fondo sociale per il clima, il Recovery fund e i Fondi di sviluppo regionale. Ci sarà un obbligo progressivo di installare pannelli solari per i nuovi edifici pubblici (dal 2026 per i più grandi al 2030)? Si intravede la fine degli incentivi alle caldaie che utilizzano fonti fossili a partire dal 2025? Ma se non si è disposti a farlo, è inutile parlare di transizione energetica? La transizione è un passaggio che dovrebbe essere quanto più breve possibile visti i rischi legati al cambiamento climatico. Non può diventare una condizione eterna. E non può diventarlo per l’Italia, mentre il resto d’Europa va avanti.

Il testo adottato, comunque, lascia molta flessibilità e autonomia decisionale agli Stati membri. I governi devono definire strategia e investimenti in un piano nazionale, tenendo in considerazione complessità del patrimonio, classi di reddito dei suoi residenti e in base a un proprio sistema di classi energetiche. L’Unione europea non ci obbligherà al temutissimo sistema delle classi energetiche armonizzate, se ne guarda bene, in vista delle elezioni che stanno creando già troppi grattacapi. D’altronde, la destra che ha votato contro la direttiva non si arrende. “Serve un cambio di rotta per rivederla, mandando a casa le sinistre e portando a Bruxelles una nuova maggioranza di centrodestra” ha detto Salvini. E dichiara guerra a una delle poche iniziative legislative del Green Deal che resta strategica nonostante l’immancabile taglia e cuci del trilogo.

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