In Lombardia case a tutti meno che alle famiglie povere in graduatoria. Questi gli “effetti” della modifica del Titolo V della Costituzione, ovvero l’autonomia differenziata, quella già in atto, in versione politiche abitative, della quale nessuno parla. Nel frattempo prosegue il percorso verso la completa trasformazione dell’edilizia residenziale pubblica, affossando, o rendendola residuale di fatti caritatevole, la sua missione di fornire case ai poveri.

È di pochi giorni fa la notizia che il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha firmato con il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, un protocollo d’intesa che prevede l’assegnazione di alloggi Aler al personale degli uffici giudiziari. Dopo le forze dell’ordine, gli studenti, gli infermieri, gli operatori socio-sanitari, anche al personale dei tribunali potranno essere assegnati alloggi Aler a canone concordato. Questo stabilisce il protocollo firmato l’8 marzo scorso. Prosegue, così, il prosciugamento delle case popolari con un travaso di destinazione sottraendole ai poveri in graduatoria per assegnarle a un canone concordato, di natura privatistica.

La filosofia politica alla base di questa trasformazione di destinazione delle case popolari, che è anche linea politica e sociale, la si evince chiaramente dalle dichiarazioni degli amministratori regionali della Lombardia. Secondo l’assessore alla Casa della Regione Lombardia, Paolo Franco, “l’accordo dà concretezza al concetto di housing sociale, inteso come strumento per allargare le categorie di beneficiari dei servizi abitativi”. Ma in Lombardia non ci si ferma mica al personale degli uffici giudiziari. Si è annunciato, per esempio che interlocuzioni sono state avviate anche con il Ministero dell’Istruzione per destinare case Aler anche al personale scolastico.

Le attuali case popolari, in Lombardia, di fatto saranno trasformate tutte in alloggi di social housing, anche attraverso fondi immobiliari, ovviamente più remunerativi, degli affitti applicabili ai poveri, ai quali, senza lavoro e senza reddito di cittadinanza, non resta che il welfare della criminalità organizzata. Poi tutti a gridare di quanto i caseggiati di case popolari siano invivibili.

Sia chiaro non si tratta di mettere alla berlina dipendenti pubblici o lavoratori che certamente subiscono: il peso di stipendi bassi, di contratti di lavoro, da anni non rinnovati e di una inflazione pesante e aumenti dei prezzi insostenibili. Non si tratta, per quanto mi riguarda, di fomentare un dissidio fra dipendenti pubblici e famiglie nelle graduatorie o con sfratto. Tutti fanno parte di categorie, che, con l’abbandono di politiche abitative pubbliche, sono state lasciate, senza difesa rispetto ad un mercato immobiliare che non tiene in alcun conto dei livelli dei redditi della stragrande maggioranza delle famiglie italiane.

Altro discorso sarebbe stato se da parte di Regioni (ad esempio la Lombardia) e governo si fossero sostenuti programmi di aumento dell’offerta di edilizia residenziale pubblica, senza consumo di suolo, e nell’aumento della disponibilità di alloggi, in particolare a canone sociale, e in parte, agevolati, trovare soluzioni abitative, sia per famiglie povere che per lavoratori o studenti fuorisede, con redditi, per i quali è impossibile affrontare il mercato immobiliare.

Invece no! Si sottraggono interi comparti di case popolari ai legittimi destinatari, si cambia la natura di questi immobili, destinandoli con un tratto di penna ad altre categorie. Ma restando sempre sul numero di alloggi disponibili in quanto si utilizzano quelli esistenti per ulteriori e nuove categorie.

Far passare le case comunali a fondi immobiliari e destinare le case Aler a famiglie non in graduatoria, ma a quelle che possono pagare affitti più alti, in Lombardia, ma anche in altre regioni, vedi Lazio, o Comuni, vedi Milano, sta è diventata linea strutturale politica e sociale.
Ma quella linea che accomuna centro destra e centro sinistra non ha nulla né di politiche abitative, né di sociale. Sono linee che convergono nel determinare esclusione sociale delle famiglie in disagio abitativo.

L’ultima notizia viene dal Piemonte, dove il 12 marzo scorso la Regione ha riproposto il “prima gli italiani” infatti a chi ha residenza in Piemonte da 15 anni verranno assegnati tre punti aggiuntivi; chi vive nella regione da 20 e 25 anni, riceverà rispettivamente quattro e cinque punti in più. La ciliegina sulla torta? E’ la decisione, tanto per cambiare ed essere “innovativi” di prevedere l’esclusione dalla lista degli edifici di edilizia residenziale pubblica quegli immobili che saranno destinati alle Forze dell’Ordine. In teoria in Italia avremmo un deficit di almeno 500.000 case popolari, ma la realtà è che è in corso il depauperamento e snaturamento, in varie forme e modalità, delle attuali 800.000 case popolari. I poveri? Si arrangino.

[Foto in evidenza d’archivio, scattata il 27 aprile 2023]

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