di Giorgia Ceccarelli*

Nella notte tra il 4 il 5 marzo, il Consiglio Ue e il Parlamento Europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio sulla proposta di regolamento sul packaging e sui rifiuti da imballaggio, una misura su cui l’Italia era particolarmente contraria, risultando l’unico Paese dei 27 ad avere votato contro l’adozione del mandato negoziale del Consiglio lo scorso dicembre.

Con l’accordo di martedì, l’Italia ha ottenuto varie concessioni, ma non l’azzeramento completo degli obblighi di riuso, per il quale è stata accordata solo una deroga su alcuni materiali e settori produttivi.

A quale costo l’Italia ha ottenuto queste concessioni? È questa la domanda tra le diverse realtà del mondo economico, accademico e della società civile, che chiedono a gran voce l’approvazione di un’altra legge europea: la Direttiva sulla due diligence delle imprese ai fini della sostenibilità, che richiede alle imprese di grandi dimensioni di adottare misure ragionevoli di prevenzione, mitigazione e gestione delle violazioni dei diritti umani e dell’ambiente lungo le loro catene del valore.

Il vergognoso baratto tra Italia e Germania

È notizia già da alcune settimane, infatti, l’ipotesi di baratto tra Italia e Germania sui due dossier. Secondo i media, il Partito Liberale Tedesco (Fdp) – compagine di minoranza che da mesi ricatta il Governo Scholz – ha promesso all’Italia di contribuire a bloccare il regolamento sugli imballaggi in assenza dei miglioramenti richiesti, in cambio di un aiuto a far deragliare la Direttiva. Infatti, già alla riunione degli ambasciatori presso l’Ue dello scorso 28 febbraio, la presidenza belga di turno non ha potuto far altro che prendere atto dell’assenza di una maggioranza qualificata degli Stati membri, per formalizzare l’accordo politico sul testo della Direttiva, raggiunto a dicembre scorso. A dichiararsi orientati all’astensione, che nella pratica significa votare contro, sono stati per l’appunto la Germania, l’Italia, la Francia e una decina di paesi minori.

Il mancato accordo – che nella prassi istituzionale di Bruxelles è sempre stato un atto puramente formale che accompagnava il testo di una Direttiva nella fase di approvazione finale – ha di fatto bloccato l’introduzione di una norma dall’enorme potenziale trasformativo.

La Direttiva si propone di difendere i lavoratori e le comunità più fragili lungo le catene del valore globali, armonizzando al contempo un quadro legislativo europeo oggi frammentato da una serie di norme nazionali disomogenee.

L’appello al Governo delle grandi imprese italiane per la Direttiva

Diverse importanti realtà imprenditoriali e associazioni di categoria italiane nelle scorse settimane hanno pubblicamente manifestato al governo Meloni il loro sostegno convinto all’adozione della Direttiva, le cui disposizioni garantirebbero un elevato livello di allineamento con i più alti standard internazionali in materia e fornirebbero una leva formidabile per rendere il sistema produttivo italiano capace di affrontare le sfide della sostenibilità legate all’Agenda 2030, agli Accordi di Parigi sul clima e alle incertezze determinate dalle crisi geopolitiche in corso.

L’Italia vuole davvero girare le spalle alla tutela dei diritti umani?

Il Consiglio Ue ha ora meno di dieci giorni di tempo per trovare un nuovo compromesso con il Parlamento Europeo. Rimandare la Direttiva alla prossima legislatura metterebbe a rischio l’intero progetto legislativo. Affossarla definitivamente sarebbe un inaccettabile passo indietro per la tutela dell’ambiente e delle persone dalle attività di impresa. La lotta al caporalato, allo sfruttamento lavorativo e dei suoli, alla crisi climatica dovrebbero essere le priorità assolute di tutti i governi e le imprese.

Negoziarli, anzi barattarli, con piccole conquiste in ambito di esenzione dai vincoli europei sull’utilizzo di alcuni contenitori monouso è vergognoso e indegno per un paese, l’Italia, che per il peso politico che ha dovrebbe essere l’artefice dei più ambiziosi accordi europei, non il sabotatore.

*policy advisor su imprese e diritti umani di Oxfam Italia