L’elezione del presidente della Repubblica a maggioranza assoluta – e non dei due terzi – sarà possibile a partire dal sesto scrutinio, e non più, come adesso, dal quarto. Lo prevede un emendamento al ddl costituzionale sul cosiddetto premierato – a prima firma del renziano Enrico Borghi – approvato in Commissione Affari costituzionali al Senato con il parere favorevole di governo e relatore: una norma che garantirà più tempo per chiudere gli accordi politici in occasione della scelta del prossimo capo dello Stato. Respinte, invece, quasi tutte le altre proposte di modifica all’articolo 1 del testo, che elimina i cinque senatori a vita di nomina presidenziale: accantonate, su richiesta dell’esecutivo, solo quelle sull’introduzione nella Carta dei diritti delle opposizioni. “Si può fare una riflessione sul se e sul dove inserirle nel testo costituzionale”, dice la ministra delle Riforme Elisabetta Casellati, che ha dato il proprio nome al ddl.

In generale, però, il clima politico intorno alla riforma è piuttosto teso. Le opposizioni chiedono un maggiore dialogo a Casellati, che risponde lamentando ostruzionismo: “2.600 emendamenti la dicono lunga sul cosiddetto dialogo”, ha detto oggi nell’intervallo dei lavori. Per “arrivare a una soluzione condivisa”, spiega, serve “una proposta alternativa sulla quale poter discutere, e ad oggi non è stato così”. L’ex presidente del Senato rivendica di aver già modificato il testo rispetto alla versione uscita dal Consiglio dei ministri, ad esempio imponendo un limite di due mandati al premier eletto, lasciando la definizione del premio di maggioranza (così come della soglia per ottenerlo) alla legge elettorale. “La buona volontà del governo è stata larghissima”, chiosa. A risponderle è il capogruppo dem in Commissione Francesco Boccia: “Noi non facciamo ostruzionismo, ma legittimamente ci opponiamo ad un disegno che vuole scardinare i nostri equilibri istituzionali”, dichiara.

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