“Fatelo pure, il mio nome. La ministra Calderone abbia la decenza di dirmi come dovrei vivere”. Tania Di Fabio, 55 anni residente in provincia di Brescia, deve tenere a bada la rabbia, dice. Vive da sola, paga l’affitto e quanto resta non le basta per vivere. Basta invece ad escluderla dall’Assegno di inclusione (Adi), la misura che da gennaio ha sostituito il Reddito di cittadinanza. Mancanza di requisiti economici, questa la ragione, come per tanti altri ex percettori del Rdc. 182mila le domande respinte a gennaio, oltre un terzo di quelle accolte. “Ho scritto tante volte alla ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, perché il ministero del Lavoro una mail diretta nemmeno ce l’ha. Non mi hanno mai risposto”, racconta Tania. “Quelli che come me vivono da soli sono stati i più penalizzati, mi hanno spiegato al patronato. Altro non mi sanno dire, nessuno mi dice cosa fare”.

Chi ha fatto i conti sa che il passaggio alle nuove misure del governo Meloni ha indebolito l’intervento pubblico nel contenere il fenomeno della povertà, con la copertura delle famiglie povere scesa dal 60 percento del Rdc al 46 percento dell’Adi. Per contenere la spesa, che rispetto al Reddito è stata ridotta di 1,7 miliardi di euro, Meloni e soci hanno cancellato dai radar una parte di poveri. C’è addirittura chi non rientra nelle nuove misure perché è troppo povero, come raccontato dal Fatto Quotidiano. Se hai i genitori in vita e un Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) sotto i 2.800 euro sei per legge un mantenuto e non ti spetta nulla. Anche se vivi da solo e non hai più rapporti con i familiari. “Presenteremo un emendamento al ddl Lavoro, in discussione alla Camera, per sanare questa folle situazione”, ha annunciato la capogruppo del M5S in commissione Lavoro alla Camera, Valentina Barzotti. Nel frattempo il governo fa cassa, anche sulla pelle di chi ha la neurofibromatosi di tipo 2, una malattia rara e davvero poco compatibile con la povertà.

Tania si è scoperta malata a 46 anni: “E’ importante che la gente sappia che non sempre ci si nasce, che può succedere e che all’improvviso ti cambia tutto”. Poi una serie continua di operazioni e il contratto di lavoro che non le viene più rinnovato. La nf2, così la chiama chi è costretto a frequentarla, è una malattia caratterizzata dallo sviluppo di tumori dei nervi, che mina l’udito e l’equilibrio. “Non ci sento più dall’orecchio destro, ho problemi al nervo facciale, la bocca storta, problemi di equilibrio e muovermi mi causa forti emicranie”, spiega. “Sono iscritta all’ufficio collocamento, ho chiesto di lavorare, magari da casa, ma non è mai successo”. Il male di cui soffre è genetico e degenerativo, ma non vale più di 600 euro al mese, quello che prende dalla pensione di invalidità. Ne paga 350 di affitto, oltre alle utenze. Col resto bisogna vivere. Anzi, convivere con la nf2. “Grazie al Reddito avevo un’integrazione di 230 euro che mi aiutava, essenzialmente a fare la spesa”, racconta. Poi lo scorso 20 dicembre presenta domanda per il nuovo Assegno di inclusione, e scopre che povera non lo è più, almeno non per il governo.

La soglia di reddito da non superare è di 6.000 euro l’anno. Ma se il Rdc la elevava a 9.360 euro per tutti coloro che hanno un affitto da pagare, il nuovo Assegno di inclusione non fa distinzione. Nel caso di Tania è come se i 4.200 euro l’anno che paga per avere un tetto non esistessero. La sua domanda è stata respinta lo scorso 25 gennaio. “A 55 anni e con i miei problemi di salute, devo chiedere aiuto a mia figlia e mio genero”, si rammarica. Dal 2018 è in carico ai servizi sociali. “Quando ho raccontato loro che sono rimasta esclusa ci sono rimasti”. Come non bastasse, le ha spiegato il patronato al quale si è rivolta, “nel mio Isee e così in quello di tanti altri è stato preso in considerazione anche lo stesso Rdc, che invece non va calcolato ai fini dell’Indicatore”. Chi può fare ricorso ha dovuto aspettare la fine di febbraio per sapere che fare, perché arrivasse una circolare con le indicazioni dell’Inps che ancora mancavano. Ma non è il caso di Tania. L’unica speranza è che il governo si renda conto di aver abbandonato troppe persone che non andavano lasciate sole. “Siamo in tanti e mi auguro che raccontare anche la mia storia serva”, riflette conservando la voglia di battersi. “E’ vita dignitosa questa? Lo chiedo alle ministre Calderone e Locatelli – conclude –, perché il fatto che noi invalidi, fragili ultra cinquantenni non alziamo il Pil italiano non vuol dire che dobbiamo essere trattati come l’ultima ruota del carro, e forse peggio”.

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