Mercoledì, 28 febbraio 2024, la Commissione Giustizia del Senato, nell’esprimere “parere favorevole” sul decreto attuativo della riforma Cartabia del 2022 sull’ordinamento giudiziario, licenziato a novembre dal Consiglio dei Ministri, ha inserito nel parere l’ “incoraggiamento” a prevedere “test psicoattitudinali” per “aspiranti magistrati”. Questo “incoraggiamento”, che può apparire di carattere marginale, è in realtà un ennesimo provvedimento, minuto e insidioso, che inerisce a una politica perseguita da tempo dai governi degli ultimi trenta anni, ed ora, in modo davvero concludente, dall’attuale governo in carica, il cui fine ultimo è quello di concentrare i poteri in una sola persona, e dare così un colpo finale all’unità del “Popolo italiano”, e a ciò che resta del nostro “Stato comunità”.

A ben vedere, l’aspetto fortemente negativo di questo “incoraggiamento” sta nel fatto che esso agevola l’accentramento di poteri nell’Esecutivo, “indebolendo”, con estrema “ristrettezza di vedute”, la stessa “figura” del magistrato. Infatti, non può sfuggire che il ricorso ai “test psicoattitudinali” per l’aspirante magistrato (che si distinguono dai “test psicologici”, assolutamente impensabili in materia), è conseguenza di un “declassamento” culturale dell’altissima “funzione” del “giudicare”.

Se è vero che il possesso di certe “attitudini” è indispensabile per lo svolgimento di certe attività specialistiche, come quella, ad esempio, di guidare un treno, per le quali giustamente si richiede una non normale capacità di attenzione ai dettagli, di sopportazione di situazioni di grande stress, di resistenza a un lavoro sotto pressione, e così via dicendo, è altrettanto vero che per l’attività del magistrato quello che conta non sono tanto le singole attitudini, ma quel complesso indefinibile di caratteristiche di mente, di cuore e di cultura, che sono il presupposto indispensabile per l’esistenza e lo sviluppo di una “persona” che sia davvero in grado di “giudicare” i propri simili e i correlati conflitti di interessi.

E non si dimentichi che “essenziale” è quell’innato senso di “giustizia” che è in ciascuno di noi, e che si esprime, storicamente, nei principi di “libertà, eguaglianza, solidarietà”, che hanno ispirato le più recenti Costituzioni e Carte internazionali del secondo dopo guerra. Ne consegue che, ai nostri fini, lo strumento più idoneo per l’ammissione in magistratura resta il ricorso alle tradizionali “prove e scritte e orali”, i cui testi siano preparati e corretti da magistrati di lunga esperienza e di grande e lungimirante cultura. Insomma, è da ribadire che non sono da dimostrare “attitudini particolari”, ma quell’insieme di doti che rendono alta la figura di chi è chiamato a “giudicare”. Come diceva Calamandrei, l’ultima difesa del cittadino è quella di “ricorrere alla coscienza del giudice”, e cioè alla sua “indipendenza” di giudizio.

Né può sfuggire che questo “incoraggiamento” viola in pieno la vigente Costituzione repubblicana. Esso infatti, non solo non rientra nell’oggetto della legge delega della Cartabia sulla riforma della giustizia (e non può quindi essere inserito nel relativo decreto di attuazione), ma è addirittura in evidente e totale contrasto con i “principi fondamentali” della nostra Carta costituzionale, principi che non possono essere intaccati neppure da una legge di revisione costituzionale.

Né sfugga che questo “incoraggiamento” all’adozione dei “test psicoattitudinali”, indebolendo e, in un certo senso tecnicizzando, la “figura” del “giudice”, appare anche come il frutto dello spericolato agire dell’attuale governo in settori particolarmente delicati ed impropri, come quello dell’abrogazione di fondamentali reati, oppure della non approfondita accettazione di inammissibili richieste degli speculatori economico finanziari. Attenzione! E’ da piccoli fori che possono intravvedersi pericolose realtà.

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