Un spiraglio per raggiungere un accordo sulla tregua a Gaza, come riportavano ieri alcuni media statunitensi, si era aperto. Ma la mancata consegna della lista degli ostaggi ancora in vita da parte di Hamas a Israele, che era condizione non negoziabile, ha fatto sfumare l’intesa. Un alto funzionario dell’organizzazione terroristica aveva detto che una pausa dai combattimenti sarebbe stata possibile solo se Israele avesse accettato “le richieste di Hamas, che includono il ritorno degli sfollati palestinesi nel nord della Striscia e un aumento degli aiuti umanitari”. E così oggi al Cairo solo le delegazioni di Hamas, Qatar e Stati Uniti si sono riunite intorno al tavolo delle trattative: i miliziani avevano fatto sapere di non essere disposti a rilasciare nessuna informazione sugli ostaggi fino a che non fosse entrato in vigore “un cessate il fuoco completo” e non fosse stata “alleviata in modo significativo la sofferenza degli abitanti di Gaza”. I negoziati quindi sono partiti senza i rappresentanti di Tel Aviv, che accusano Hamas di aver inviato solo “risposte parziali”. I media israeliani parlano di “un clima di crisi”: “Hamas non recede dalle sue richieste assurde e non fornisce risposte. Finché non avremo risposte veritiere e concrete non ha senso inviare alcuna delegazione al Cairo”, ha affermato una fonte politica citata dalla radio pubblica Kan. Nelle scorse ore Israele ha insistito per conoscere i nomi degli ostaggi che avrebbero dovuto essere liberati in questa fase e per verificare il numero di detenuti palestinesi da rilasciare in cambio: l’obiettivo era quello di raggiungere un’intesa prima dell’inizio del mese sacro del Ramadan, il 10 marzo.

Anche Papa Francesco, dall’Angelus in piazza San Pietro, ha lanciato un nuovo appello per la fine dei combattimenti: “Porto quotidianamente nel cuore con dolore la sofferenza delle popolazioni in Palestina e Israele dovuta alle ostilità in corso. Le migliaia di morti, di feriti, di sfollati, le immani distruzioni causano dolore e sofferenza su piccoli e indifesi che vedono compromesso il loro futuro. Davvero si pensa di costruire un mondo migliore in questo modo? Si pensa di raggiungere la pace? Basta, per favore. Diciamo tutti basta, per favore. Fermatevi. Incoraggio a continuare i negoziati per un immediato cessate il fuoco a Gaza e in tutta la regione, affinché gli ostaggi siano liberati e ritornino ai loro cari che li aspettano con ansia e la popolazione civile possa avere accesso sicuro ai dovuti e urgenti atti umanitari”. In attesa di un nuovo cessate il fuoco, intanto, aumentano gli sforzi internazionali per l’assistenza umanitaria: l’Organizzazione mondiale della sanità ha denunciato che almeno dieci bambini sono morti per malnutrizione negli ultimi giorni a Gaza. Gli Usa sono scesi in campo con gli aerei militari: tre C-130 dell’Air Forces Central hanno lanciato 66 pacchi contenenti circa 38.000 pasti, aiuti che però lo stesso presidente Joe Biden ha definito “insufficienti”. L’intervento è stato descritto dalla radio militare israeliana come “un chiaro segno di insoddisfazione”da parte di Washington nei confronti dell’alleato.

Sul terreno, le forze armate israeliane continuano a bombardare su tutta la Striscia: il ministero della Sanità di Hamas afferma che 25 persone sono state uccise a Rafah tra sabato e domenica. Undici sono le vittime di un attacco aereo che ha colpito una tenda vicino all’ospedale degli Emirati nel sobborgo di Tel al Sultan, mentre un ulteriore attacco ha distrutto una casa, uccidendo una famiglia di 14 persone, tra cui due gemelli (un bimbo e una bimba) di quattro mesi e mezzo, Wissam e Naeem Abu Anza. In serata il portavoce del ministero, Ashraf al-Qudra, ha parlato inoltre di “un terribile massacro, con decine di civili uccisi” nel sud di Gaza city. Il tutto mentre resta ancora forte lo choc per la strage di giovedì scorso, quando oltre cento palestinesi sono morti e settecento sono rimasti feriti durante la consegna degli aiuti. Secondo il direttore dell’ospedale al-Awda di Jabalia, dove sono stati portati molti dei feriti, circa l’80% di loro presentavano lesioni da arma da fuoco. Un dato confermato anche dai funzionari Onu che hanno visitato la struttura. L’esercito israeliano invece ha ribadito che la maggior parte delle persone sono morte nella calca: “È infondata l’affermazione secondo cui abbiamo attaccato intenzionalmente il convoglio. Eravamo lì per proteggere quell’operazione”, ha assicurato un portavoce. Intanto l’Ue, attraverso l’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell, è tornata a chiedere “un’indagine internazionale imparziale”.

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