Musica

La ‘democrazia dello streaming’ è un’utopia: “Artisti sottopagati, compensi scarsi o nulli, poche tutele e contratti inadeguati. Serve una riforma”. La replica di Fimi

Il quadro preoccupante emerge dalla ricerca realizzata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con ItsRight, la società che gestisce i diritti connessi di oltre 170mila artisti e musicisti

di Andrea Conti

Salmo in una stories su Instagram lo aveva detto a gran voce e furente: “Già la musica è quasi completamente gratis, dovete sapere che le piattaforme streaming non pagano un ca**o, ci danno niente pochissimo”. Dietro le parole dell’artista c’è una verità ed è emersa dalla ricerca realizzata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con ItsRight, la società che gestisce i diritti connessi di oltre 170mila artisti e musicisti.

La ricerca è stata realizzata attraverso un questionario al quale hanno partecipato oltre 800 artisti. In un secondo momento è stato estratto un campione scientificamente rappresentativo di 300 artisti per la finalizzazione dell’indagine dal punto di vista sociologico ed economico. La
prima urgenza che è emersa dall’indagine è la fragilità economica degli interpreti, esecutori, produttori artistici e direttori d’orchestra. La metà circa del campione non è in grado di mantenersi con la musica.

L’altro punto importante che è emerso l’impatto dello streaming sui redditi. Il 79,33% ha dichiarato – a discapito di chi parla di “democrazia dello streaming” – di ricavare nulla o somme irrisorie dallo streaming. Emerge un quadro di scarsa compensazione e basso impatto sui redditi complessivi. L’89% dei rispondenti segnala come le proprie opere siano presenti su una o più piattaforme. Nello specifico YouTube (71.7%), Spotify (65%) e Apple Music (50%); a queste seguono Amazon Music (46%), Deezer (33,7%), Tidal (24%), QoBuz (14.3%) e Primephonic (5%).

Tra chi è stato interpellato è emerso il tema dell‘inadeguatezza di tutele contrattuali rispetto ai diritti streaming e “una generale sfiducia nella trasparenza delle case discografiche come intermediarie, complica ulteriormente il quadro di vulnerabilità dell’artista”. Il 45% del campione dichiara di non avere mai ricevuto rendiconti; soltanto il 28% dichiara di averne ricevuti, e il 26.5% non risponde. Si registra anche una dominante assenza di tutele per il 91.7% del campione. Il livello di trasparenza delle case discografiche risulta sostanzialmente insoddisfacente, con il 37.3% del campione che le ritiene “per nulla” trasparenti.

“Il futuro di prosperità e stabilità per gli artisti che promettevano le piattaforme di streaming, con il superamento della pirateria come primo canale di distribuzione musicale, sembra ancora di là da venire”, ha spiegato il Dott. Matteo Tarantino, docente di Data, Communication &
Society presso l’Università Cattolica e responsabile scientifico della ricerca.

“A due anni dal Recepimento della Direttiva Copyright, le scelte fatte dal Governo italiano allora in carica – che ha lasciato la raccolta di questi compensi in capo ai produttori – hanno prodotto la paralisi. – ha concluso Gianluigi Chiodaroli, Presidente di ItsRight – I discografici tergiversano negandoci i dati sui ricavi streaming, necessari per verificare l’adeguatezza dei compensi degli artisti”.

Da qui un appello alle istituzioni: “È necessario rendere il settore realmente sostenibile per tutti gli attori del processo, avviando una riforma che consenta agli artisti, attraverso le loro collecting, la possibilità di incassare direttamente dalle piattaforme i propri compensi, in autonomia dai discografici. Solo così si potrà parlare di democrazia dello streaming”.

L’ECONOMIA DELLO STREAMING: LA POSIZIONE DI FIMI

(riceviamo e pubblichiamo)

“Tra le critiche mosse verso questa nuova economia, emerge quella sull’impatto residuale dello streaming sui redditi, sia in senso assoluto che proporzionale degli artisti. In verità artisti e cantautori ricevono di più nell’era dello streaming di oggi rispetto all’era del cd e del vinile. Da un’analisi di IFPI, la federazione fonografica internazionale, mostra che tra il 2016 e il 2021 la remunerazione degli artisti è aumentata del 96%, a fronte di un aumento del 63% dei ricavi delle case discografiche nello stesso periodo. L’analisi IFPI conferma inoltre che la quota di fatturato degli artisti è cresciuta del 20,2% raggiungendo il massimo storico del 34,9% del fatturato globale nel 2021. Questa tendenza è stata confermata anche da altri studi e rapporti recenti, tra cui l’IPO del Regno Unito, il CMA Music and Streaming Market e il Loud & Clear Report di Spotify. Guardando allo scenario locale, si segnala che nel 2023 lo streaming ha dominato incontrastato i consumi italiani, con oltre 71 miliardi di stream – comprensivi di premium e free – e una crescita del 15.9% rispetto all’anno precedente.

All’accusa di una diffusa fragilità economica dei musicisti, si dipinge uno scenario in cui il panorama dello streaming è più competitivo che mai. Alla fine dello scorso anno sui servizi di streaming erano disponibili 184 milioni di brani musical (fonte: Luminate tramite MBW). Ogni giorno vengono aggiunte 120.000 tracce ai servizi di streaming (fonte: Luminate) 1.158,6 milioni di brani hanno ricevuto ciascuno 1.000 riproduzioni o meno sui servizi di streaming audio nel 2023 (fonte: Luminate tramite MBW) 45,6 milioni di brani non hanno ricevuto alcuna riproduzione nel 2023 (fonte: Luminate tramite MBW). Quindi, mentre gli artisti firmati con le etichette registrano entrate più elevate che mai, non tutti gli artisti che utilizzano un servizio di streaming vedono il successo commerciale dello streaming: ciò non è dovuto al mercato, ma alla “democratizzazione” della distribuzione della musica che ha portato alla disponibilità di un volume così grande di musica.

Un’altra emergenza riguarderebbe la protezione dell’artista messo di fronte a una diffusa inadeguatezza di tutele contrattuali rispetto ai diritti streaming. Ma che i contratti degli artisti siano obsoleti e basati sull’era fisica non è plausibile: c’è un’enorme competizione tra le etichette per i migliori talenti, in uno scenario in cui gli artisti hanno più scelta che mai su quale etichetta firmare, e questo si riflette nei contratti moderni. Spetta all’artista decidere come desidera collaborare con una casa discografica, dai semplici accordi di distribuzione musicale alle partnership creative e commerciali più strette. Anche le etichette discografiche hanno apportato importanti modifiche con lo sviluppo dei mercati dello streaming. Ad esempio, le etichette hanno annunciato che condivideranno i ricavi derivanti dalla vendita di partecipazioni azionarie nei DSP e che inizieranno a pagare royalties per il vecchio repertorio indipendentemente dal fatto che le registrazioni vengano recuperate.

Alla richiesta di un sistema più chiaro di rendicontazione degli stream, che possa aumentare il livello di trasparenza delle case discografiche, si segnala che ad oggi c’è più trasparenza che mai rispetto al passato grazie agli investimenti delle case discografiche nei loro sistemi di gestione di un volume senza precedenti di dati che ricevono dai servizi di musica digitale. Come risultato di questo enorme investimento e attraverso innovazioni come i portali online, gli artisti e i loro team di gestione sono in grado di visualizzare le loro royalties e altri flussi di reddito spesso in tempo reale”.

La ‘democrazia dello streaming’ è un’utopia: “Artisti sottopagati, compensi scarsi o nulli, poche tutele e contratti inadeguati. Serve una riforma”. La replica di Fimi
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