Chissà se i posteri ricorderanno il Congresso del Partito Socialista Europeo celebratosi il 1 marzo a Roma come l’inizio della svolta oppure semplicemente no, non lo ricorderanno affatto. Che svolta? Quella che serve per salvare la democrazia in Europa.

Sono passati soltanto pochi decenni da quando la democrazia liberale, basata sul suffragio universale, è diventata la forma di organizzazione sociale dell’Unione Europea, eppure i segni di decadimento sono drammatici e sotto gli occhi di tutti.

Tra tutti quelli che ognuno di noi può elencare, forse il più preoccupante è di natura culturale e ha a che fare con l’evocazione della guerra come necessità storica ineludibile.

L’appello al riarmo dell’attuale presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha avuto una eco davvero inquietante. Sembrano lontani anni luce i motivi ispiratori che innescarono il processo di unificazione europeo: l’orrore delle due guerre mondiali, dei totalitarismi liberticidi, del dispotismo razziale. Mai più!: la forza utopica di queste due piccole parole animò il miracolo politico del primo e unico processo di devoluzione volontaria di sovranità, finalizzato a costruire una casa comune retta da quella “convivialità delle differenze” (don Tonino Bello) che prometteva di essere l’alternativa praticabile alla prepotenza delle identità, l’una contro le altre armata.

Sappiamo come sono andati i successivi 70 anni. L’utopia del Mai più è stata osteggiata e contraddetta in ogni modo possibile, generando una dinamica tanto tragica che manco il mito di Sisifo la potrebbe adeguatamente simboleggiare. Così, mentre da un lato generazioni di democratici hanno lavorato perché guerra e dispotismo uscissero per sempre dalla storia (europea e del mondo), attraverso la progressiva affermazione di norme e pratiche per la gestione nonviolenta dei conflitti e per la giustizia sociale, dall’altro gruppi più o meno strutturati hanno lavorato al contrario perché la volontà del più forte fosse legge, come sempre era stato.

L’Italia è stato teatro “privilegiato” della tensione tra queste due vere e proprie “masse continentali” in movimento contrario. Un movimento che ha stritolato decine di vite a Peteano, in piazza Fontana, in piazza della Loggia, a Bologna, con le bombe del ’92 e del ’93, fino a quella inesplosa del gennaio ’94, che ha avvelenato i pozzi della vita politica con la iniezione dentro le istituzioni repubblicane di dosi abbondanti di fascisti a malapena coperti da un manto di formale presentabilità.

Fino alla perfetta ricapitolazione degli “eredi-al-quadrato” (del Duce e di Berlusconi) che, arrivati al governo attraverso libere elezioni cento anni esatti dopo la criminale marcia su Roma, stanno adoperando le istituzioni democratiche per riscrivere la storia e prendersi la rivincita sulla sconfitta subita nel ’45. Una sconfitta avvertita sempre e soltanto come militare e mai davvero anche culturale.

Questa rivincita è quella che sognano tutti i movimenti nazionalisti, più o meno dichiaratamente neofascisti, che serpeggiano per l’Europa, insofferenti da sempre all’idea stessa di uguaglianza tra umani e per questo irriducibilmente contrari alla democrazia pluralista, relativista, alla società aperta, per questo sempre un po’ disordinata e disubbidiente.

E’ la rivincita che ha prodotto criminali come Breivik, capace di assassinare a sangue freddo 69 tra ragazzi e ragazze della gioventù laburista norvegese, colpevoli di partecipare ad un campo di formazione politica sull’Europa democratica, laica, plurale. Succedeva ad Utoya il 22 luglio del 2011.

Breivik, arrestato, processato e incarcerato, si sta probabilmente godendo dalla sua cella il progressivo, apparentemente inarrestabile successo di tante di quelle forze di estrema destra cui proprio lui aveva inviato il suo “manifesto”, prima di commettere la strage.

Oggi però la sfida è arrivata al suo ultimo tornante, perché a sostegno di questi movimenti nazionalisti antidemocratici milita una forza senza precedenti rappresentata da quella parte di “turbo-capitalismo” globale che ha capito di poter funzionare senza democrazia. A questo capitalismo servono consumatori imbecilli, non cittadini allenati alla sovranità.

Il Pse saprà guidare la svolta, facendo delle prossime Elezioni europee il fatto politico che sarà ricordato dagli storici come il voto che ha salvato la democrazia in Europa? Dipenderà da tanti fattori. Tra questi, uno che mi sta a cuore: la credibilità del personale politico che servirà al Pse per scatenare una offensiva culturale e poi politica contro la corruzione del potere, i conflitti di interesse, le contiguità tra mafie e “colletti bianchi”, le concentrazioni di potere privato in gangli essenziali della vita pubblica come i media, la sanità, la tecnologia militare, contro le “porte girevoli”, per la trasparenza dell’attività politica.

Partendo insomma da un più modesto, ma essenziale, Mai più trolley pieni di soldi, Mai più sms tra i vertici della Commissione e il capo di una multinazionale farmaceutica.

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