“Questa guerra ha scatenato uno tsunami di antisemitismo. Ma cosa c’entro io con quello che sta facendo Benjamin Netanyahu a Gaza? Cosa c’entra un ebreo italiano?”. A usare queste parole, nel giorno della Memoria, è Edith Bruck che nella primavera del 1944, a tredici anni, venne presa dal ghetto di Sátoraljaújhely (in Ungheria) e deportata ad Auschwitz e poi in altri campi tedeschi. Parlare con la scrittrice, regista e poetessa, sopravvissuta alla più grande tragedia del Novecento significa ripercorrere la Storia e provare a coniugarla nel presente e nel futuro. Ad amareggiarla è proprio l’oggi, l’attualità, che ha finito per rimettere in discussione – cosa che considera intollerabile – l’esistenza stessa di Israele. Bruck, che in queste ore ha ricevuto dal direttivo dei Giornalisti cinematografici italiani la notizia del premio speciale dei Nastri d’Argento per i documentari, ha speranza solo nei confronti dei giovani. Da qualche settimana ha pubblicato per la “Nave di Teseo” il libro “I frutti della memoria. La mia testimonianza nelle scuole”, una raccolta di lettere che i bambini e i ragazzi di tutt’Italia le hanno inviato.

Questo libro, Edith, è la testimonianza che la sua semina è servita. Non finirà, quindi, tutto in una riga dei libri di storia?
“Non è importante il libro in sé ma il fatto che gli studenti mi abbiano sempre ascoltato a bocca aperta; hanno compreso il dramma che ho vissuto alla loro età al punto che i loro problemi, nelle missive ricevute, vengono minimizzati. Sono stata ripagata della fatica che faccio dal 1959. Non smetterò mai di parlare ai giovani finché avrò forza e voce. Nei libri di storia, purtroppo, non c’è quasi nulla, parlano poco e male di quanto è accaduto; spesso si evita di parlare di Shoah per i sensi di colpa dei vari Paesi”.

Che ruolo può avere la scuola nel trasmettere la memoria?
“Prima ci dev’essere la famiglia poi la scuola ma né nella prima né nella seconda si parla molto. Chi, tra i docenti, incontra un sopravvissuto, sa come affrontare il tema dell’Olocausto con i ragazzi. Oggi diversi studenti sono, persino, diventati testimoni al mio posto. Non bastano, tuttavia, il mondo dell’istruzione e i genitori. Viviamo in una società troppo solitaria ed egoista”.

E quando non ci sarete più voi non ha paura possa finire tutto nell’oblio?
“E’ quello che ha detto la senatrice Liliana Segre ma non credo che tutto finirà con noi. Se anche restasse un dieci per cento di persone che ricorderanno, è importante. Se sono riuscita a cambiare dieci, venti ragazzi è tanto; non importa il numero. Non dobbiamo smettere di raccontare, non dobbiamo pensare che dimenticheranno. Negli ultimi quarant’anni c’è stata parecchia attenzione, in tanti hanno voluto ascoltarci. Ognuno di noi può fare qualcosa. Io faccio la mia piccola parte. Resta un problema: quello di chi non ha fatto i conti con la storia. L’unico Paese ad aver fatto ciò è la Germania. Per il resto è un disastro. Applaudono chi è al potere al momento, nella contingenza”.

Neanche l’Italia ha fatto i conti con la propria storia?
“No per nulla, Non è un caso che stanno rifiorendo il fascismo e l’antisemitismo. Nel nostro Paese la situazione non è ancora così grave, per fortuna: in settant’anni, solo due volte, sono stata offesa. Il fascismo si è risvegliato, domina la Destra. Vedere i saluti romani e le marce mi fa male. Non si tratta di un rigurgito, l’antisemitismo e il fascismo non saranno mai sradicati”.

Le fa paura questo scenario?
“No mi avvilisce. Mi fa male. Mi chiedo come sia possibile nel 2024 vedere queste guerre dietro la porta, questo odio, questi massacri! Sappiamo tutti cosa ha fatto il fascismo, perché rimuovere?”.

Eppure lei ha speranza nei giovani. Scrive nel suo libro che sono interessati. E’ una delle poche. Spesso i ragazzi sono definiti “sdraiati”, “mammoni”, “incapaci” e via dicendo.
“Il bullismo e altro certamente esistono ma i giovani sono affamati di conoscenza. Quando entro in una scuola è incredibile il desiderio che hanno di sapere. La mia testimonianza funge quasi da terapia perché dicono che di fronte a quello che è accaduto a me, i loro problemi non sono nulla. Capiscono la preziosità della vita”.

Quanto sono importanti i libri, i film per conoscere la tragedia della Shoah?
“No. Spesso sono dannosi. Non c’è un film che somigli vagamente al vero. Anche “La vita è bella” è una bella pellicola ma non c’entra nulla con i campi di sterminio. E’ comodo vedere l’opera di Benigni. Un ragazzo può pensare: se fosse stato così, tuttavia, sarebbe stato vivibile. Lo stesso artista mi ha detto: “Certamente la tua storia è un’altra”. Queste narrazioni cinematografiche sono lontane mille miglia dalla verità. E’ chiaro che piace pensare che quella tragedia fosse così. Anch’io avrei desiderato che fosse andata in questo modo ma purtroppo non è la realtà. Dovremmo mostrare ai ragazzi solo documentari autentici, storie vere. Non c’è bisogno di mistificare”.

E’ utile, invece, andare a toccare con mano la realtà, andando a visitare i campi di concentramento, di sterminio, il Binario 21 a Milano?
“Ho dei dubbi. Anche ad Auschwitz ci sono bar, ristoranti. Se nei viaggi della memoria c’è qualche testimone con i ragazzi, racconta quello che è accaduto, piange ma i ragazzi poi vanno in albergo e alla sera, magari, a ballare. Tutto ciò diventa una specie di turismo macabro. Credo che l’unica cosa da fare in quei luoghi sia il silenzio. L’esempio è Papa Francesco: mi vien in mente la sua immagine ad Auschwitz, muto, in silenzio totale. Lì parlano le scarpe, gli occhiali strappati a noi deportati. Non sono mai tornata in quel luogo. Nemmeno Primo Levi al quale avevo chiesto perché avesse rimesso piede nel campo di sterminio mi rispose che non sapeva bene perché l’avesse fatto”.

Torniamo alle lettere che ha pubblicato. Ha risposto a tutti?
“Solo qualche volta via mail ma ne ho troppe. Non riesco. L’ho fatto attraverso il mio libro. Sono loro grata. Non importa se manterranno quello che mi hanno promesso. Ho fiducia in loro”.

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