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Il delitto di via dei Prefetti, il cold case di Elisabetta Di Leonardo: ammazzata “dal potere” con sette coltellate al petto

Nel suo ultimo romanzo, lo scrittore e giornalista di inchiesta Igor Patruno ricostruisce l'omicidio tutt'ora irrisolto

di Alessandra De Vita

“E se certi fatti lasciassero tracce? L’eco di un dolore. L’odore di una morte violenta. L’ultimo bagliore di una vita che si spegne. E se qualcuno avesse il dono ancestrale di cogliere queste tracce e di leggerle percependole come visioni?” Non sono domande facili quelle che si fa Alberto all’alba dei suoi 60 anni, protagonista di “I giorni sono sempre più brevi”, l’ultimo romanzo dello scrittore e giornalista di inchiesta Igor Patruno pubblicato con Fausto Lupetti editore. A porgliele sono grandi pensatori come Nietzsche, Eraclito e Descartes che trovano voce nelle riflessioni di chi vive ai margini: quelle di un clochard che dorme sotto i portici di una Roma deserta. Non è il tempo lineare e schematico delle lancette quello lungo cui scorre la vita del protagonista che balza lungo flashback continui da un martedì grasso del ’78 in via del Corso a Roma al concerto dei Clash in Piazza Maggiore del 1980, fino a una Piazza San Pietro spettrale, quella in cui il Papa prega da solo nel 2020 con le sirene in sottofondo nell’anno della pandemia che entra nel libro di Patruno in maniera silenziosa.

Del resto, Alberto è appena in grado di comprendere quanto avviene fuori dal suo di mondo, una casa sprovvista di qualsiasi presa sull’esterno, senza computer né smartphone ma in cui trova spazio solo una Olivetti 82. Lungo un arco temporale di circa sette anni, Patruno alias Alberto si muove nella sia città ma la scruta dall’alto come se non fosse sua davvero. La osserva, la teme e la giudica. “Roma si regge su sedimenti, superfici, sfoglie, livelli. Una solidità melmosa sorretta dall’infranto. Una compattezza apparente sostenuta da cumuli di macerie. Uno spessore innalzato sulle rovine” ed è tra l’eco di queste che Alberto avverte il peso delle assenze, intrappolate in strati millenari di grande bellezza, la stessa raccontata da Sorrentino nel suo film premiato agli Oscar in cui trionfano l’individualismo, l’illecito e l’iniquo che trovano riparo nei palazzi del centro di Roma in cui il mondano e il conforme si fondono in bassezze inenarrabili. Ed è tra questi palazzi che Alberto incontra lo spettro di Betty, una giovane donna assassinata per cui Patruno – che non è certo nuovo a queste storie ed è una delle voci più autorevoli su tanti delitti irrisolti – si ispira a un fatto realmente accaduto, l’omicidio di via dei Prefetti, ovvero lo strano caso di Elisabetta Di Leonardo.

Era bella, molto e si trasferì nella Capitale dalla sua Cagliari in cerca di fortuna. Si legò alla Roma che conta nella speranza di fare l’attrice ma ottenne al massimo qualche comparsata. Ebbe una relazione travagliata con Ubaldo Cosentino, figlio del segretario generale della Camera dei Deputati. Una famiglia importante che però non accettò quel legame e che costrinse Ubaldo a lasciare l’Italia. A Elisabetta rimase quell’appartamento che avevano preso in affitto come alcova ma che la ragazza faticava a mantenere. Si trovò presto senza un soldo e il suo nido d’amore divenne un appartamento in cui si consumavano sesso e sostanze. Fu vista viva l’ultima volta il 23 giugno del 1986. Il 27 giugno due inquiline del palazzo, insospettite da forti odori, chiamarono la Polizia che la trovò morta. Betty è stata ammazzata con sette coltellate al petto. Sul pavimento, due siringhe. Sul suo seno c’era una banconota da 50mila lire, un gesto di profondo disprezzo.

Nella sua agenda il capo della Mobile Nicolò D’Angelo trovò 500 nominativi di parlamentari, giornalisti, registi, rampolli di famiglie alto-borghesi, funzionari di Stato e via così. Racconta Patruno a FQ: “Ho scelto di fare entrare Elisabetta nel mio romanzo perché lei è il simbolo delle donne giovani e belle assassinate dal potere. L’indagine si arenò per impossibilità di raccogliere elementi contro l’omicida. Niccolò D’Angelo ne conosceva il nome ma dovette arrendersi. Nessun colpevole insomma. Lei conosceva il bel mondo romano, gente importante che lavorava a pochi metri da lì, nei palazzi della politica”. Ed è un’altra storia che ci consegna la verità amara che tutti ormai conoscono: il potere uccide.

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