La svalutazione del peso di oltre il 50% decisa a dicembre dal governo di Javier Milei, unita all’inflazione, che a gennaio è stata del 20,6%, ha generato in Argentina 6 milioni di nuovi poveri negli ultimi mesi. Sono drammatici i dati rilasciati dall’Observatorio de la Deuda Social della Pontificia Università Cattolica di Buenos Aires, mentre non si arrestano le tensioni sociali e istituzionali in risposta ai progetti di riforma del presidente anarco-capitalista, che dall’altra parte ha invece incassato negli ultimi giorni l’approvazione del Fondo monetario internazionale.

Deficit zero, ma povertà e indigenza alle stelle. Si possono riassumere così i risultati economici dei primi mesi della presidenza Milei. Le proiezioni dell’Università Cattolica, calcolate sugli effetti della crescita dei prezzi e del crollo del valore della moneta – da 350 pesos per dollaro a 830 pesos – mostrano un indice di povertà che a gennaio avrebbe raggiunto il 57,4% della popolazione, cioè 27 milioni di persone: il dato più alto dal 2004, quando toccò il 54 per cento. Il livello di povertà è stato del 44,7% nel terzo trimestre del 2023, salito secondo le stime al 49,5% alla fine dell’anno. “L’aumento maggiore è stato registrato nelle famiglie della classe lavoratrice e in quelle della classe media che non sono beneficiarie di aiuti statali”, spiegano gli analisti dell’Università. Le poche misure a sostegno di pochi beneficiari, come l’aumento dell’assegno universale per i figli e del contributo per la spesa alimentare, hanno solo mitigato la crescita esponenziale degli indigenti, cioè i poveri assoluti, passati dal 9,6% nel terzo trimestre del 2023 al 14,2% di dicembre, fino al 15%, ovvero 7 milioni di persone, a gennaio di quest’anno. Milei accusa i suoi predecessori: “La vera eredità del sistema della casta”, il suo commento. “La distruzione degli ultimi cento anni non ha paragoni nella storia dell’Occidente”.

Il taglio della spesa pubblica resta l’obiettivo numero uno di Milei, che più volte ha accusato lo Stato di essere “un’associazione criminale”. A farne le spese anche le decine di migliaia di mense sociali distribuite in tutto il Paese – 35mila quelle nei registri del governo, potrebbero essercene altrettante in forma non ufficiale – che distribuiscono pasti caldi e generi di prima necessità a circa 10 milioni di bisognosi. Con l’aumento dei richiedenti aiuto e l’austerità imposta dal governo, molte sono a rischio chiusura: per questo lo scorso sabato, unite dallo slogan “La fame non aspetta”, decine di sigle politiche e sindacali sono scese in 500 piazze in tutto il Paese per protestare contro i piani di Milei, che con lo scopo di eliminare gli sprechi e favorire la trasparenza intende superare l’intermediazione delle organizzazioni che gestiscono l’acquisto dei generi alimentari. “Per porre fine a questo strumento di estorsione e al business multimilionario del cartello delle aziende statali di approvvigionamento alimentare”, ha dichiarato il Ministero del Capitale umano, “abbiamo deciso che gli aiuti controllati dalle organizzazioni sociali, che rappresentano solo il 4,2% degli investimenti dello Stato in materia alimentare, siano destinati direttamente alle mense sociali, che, a loro volta, devono rendere conto del cibo che acquistano”.

In una intervista al network LN+, Milei ha rivendicato i risultati della scure che ha abbattuto sul Paese latino-americano: il licenziamento di 50.000 dipendenti pubblici, l’eliminazione di 200.000 programmi di welfare che erano stati “concessi in modo irregolare”, la soppressione del 98% dei trasferimenti discrezionali alle province, che ha naturalmente inasprito le relazioni con i governatori, e il taglio degli appalti pubblici, descritti come una “gigantesca fonte di corruzione”. Secondo le stime del Cepa, Centro di Economia Politica Argentina, il governo a gennaio ha tagliato il 39% della spesa, un risultato “senza precedenti negli ultimi anni”. Le prestazioni sociali e le pensioni di anzianità hanno subito i tagli più profondi, ridotte rispettivamente del 29% e del 38 per cento. Secondo il centro studi, le entrate sono invece cresciute solo dello 0,7%: una crescita alimentata dall’inflazione, dunque non strutturale, e comunque debole a causa della riduzione dell’attività economica del Paese, che ha raggiunto per la prima volta in dodici anni un avanzo finanziario.

Soddisfatto invece il Fondo monetario internazionale, che con una delegazione guidata dal vice direttore generale Gita Gopinath negli ultimi giorni ha incontrato a Buenos Aires il ministro dell’economia Luis Caputo. “Ho avuto una discussione produttiva con il ministro Caputo, il governatore della Banca Centrale Santiago Bausili e il capo di Stato maggiore Nicolás Posse sugli sforzi in corso per ripristinare la situazione macroeconomica, proteggere i più vulnerabili e rafforzare le prospettive di crescita in Argentina”, ha dichiarato Gopinath. Alcune settimane fa il Fmi ha approvato l’accordo raggiunto all’inizio di gennaio con le controparti del Paese erogando 4,7 miliardi di dollari. In cambio era previsto un inasprimento dell’obiettivo fiscale, ovvero un surplus del 2% del Pil invece di un deficit dello 0,9 per cento.

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