di Sofia Basso, Unità investigativa di Greenpeace

Ufficialmente a tutela della libertà di navigazione, la missione militare lanciata oggi dal Consiglio europeo in risposta agli attacchi Houthi nel Mar Rosso proteggerà soprattutto i carichi di greggio e Gnl. A dirlo sono i numeri, in particolare quelli dell’Italia, che assumerà il comando tattico dell’operazione: secondo FederPetroli, dalla rotta del Canale di Suez transita il 27% dell’import italiano di greggio e il 34% del nostro Gnl. La missione Aspides, insomma, è l’ennesimo intervento armato dell’Italia a tutela delle fonti fossili: Greenpeace ha calcolato che, nonostante gli impegni per la decarbonizzazione sottoscritti dal nostro Paese, circa il 64% della spesa per le missioni militari italiane del 2023 è legato alla difesa di asset e rotte del petrolio e del gas.

Lo stesso ministro della Difesa Guido Crosetto, nella sua audizione alle commissioni Difesa di Camera e Senato del 1° febbraio, aveva sottolineato che la scelta di abbandonare la rotta del canale di Suez per circumnavigare l’Africa “aveva interessato prima solo le navi portacontainer, poi si è estesa anche alle gasiere e petroliere, tanto che recentemente il Qatar ha comunicato l’intenzione di posticipare i trasporti attraverso il Mar Rosso e le sue navi gasiere, comprese quelle dirette in Italia”. Un’attenzione alle fonti fossili già evidente il 19 dicembre, quando il ministro aveva avvertito che il blocco del canale di Suez avrebbe significato “l’aumento immediato di qualunque cosa venga trasportata via nave”, precisando: “Pensiamo soltanto all’energia, al petrolio, al gas liquido, a qualunque tipo di merce che arrivi o parta dall’Italia”.

Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervenendo al Senato il 18 gennaio, aveva avvertito che “gli attacchi stanno mettendo a rischio una delle rotte commerciali più importanti al mondo, soprattutto per quanto riguarda i rifornimenti energetici dell’Europa meridionale, Italia inclusa”. Dietro alle preoccupazioni per la libertà di navigazione e per la competitività dei porti italiani, ci sono, insomma, soprattutto i timori per il nostro approvvigionamento energetico. Questo perché il governo, sull’onda dell’invasione russa dell’Ucraina, si è limitato a cambiare i suoi fornitori di gas e petrolio, invece di puntare sulle fonti rinnovabili.

La risposta occidentale agli attacchi Houthi alle navi mercantili nel Mar Rosso non si è fatta attendere: il 18 dicembre gli Stati Uniti hanno lanciato l’operazione Prosperity Guardian, che prevede anche attacchi preventivi contro obiettivi Houthi. Pur sostenendola, l’Italia non ha aderito alla task force angloamericana e ha inviato due fregate che si sono avvicendate in attesa di partecipare ad Aspides, la missione difensiva targata Ue, che oggi ha ricevuto il via libera. Oltre a garantire un’unità navale, l’Italia potrebbe inviare anche assetti aerei con capacità di sorveglianza.

La nuova missione sarà difensiva e opererà negli stretti di Bab el-Mandeb e di Hormuz e nelle acque internazionali del Mar Rosso, del Golfo di Aden, del Mare Arabico, del Golfo di Oman e del Golfo Persico, in stretta collaborazione con l’operazione antipirateria della Ue Atalanta e con Emasoh, la missione europea già attiva nello Stretto di Hormuz. Quest’ultima era stata lanciata nel 2020 dalla Francia proprio “a seguito delle azioni di sabotaggio ai danni di petroliere di varie nazionalità”. Tutto torna, quindi. Senza dimenticare che l’allarme per gli attacchi Houthi alle petroliere e alle gasiere era scattato ben prima dell’escalation nell’area: l’ultima relazione governativa sulle missioni militari, trasmessa al Parlamento nel maggio 2023, faceva esplicito riferimento alle “crescenti minacce alla navigazione” degli Houthi, “che non hanno mancato di prendere di mira le navi cargo che assicurano le esportazioni di gas e petrolio”.

La crisi nel Mar Rosso ha già avuto un impatto sul rialzo dei prezzi, in particolare del gasolio: un suo prolungamento li farà aumentare ulteriormente. Invece di investire su un futuro sostenibile, l’Italia ha scelto di accumulare riserve fossili, senza alcuna attenzione all’emergenza climatica e agli equilibri geopolitici. E adesso si trova di fronte al rischio di una nuova crisi energetica. Anche perché l’interruzione della rotta del canale di Suez va ad aggiungersi ai problemi del canale di Panama, che sta subendo un grave abbassamento del livello dell’acqua a causa del riscaldamento climatico.

Chissà cosa deve ancora accadere perché si cambi finalmente rotta – non nel senso della circumnavigazione dell’Africa, ma di una giusta transizione ecologica.

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