“Adesso faccio una vita di merda, però ovviamente c’è molto ma molto di peggio. Io mi sento un privilegiato nel poter fare questo lavoro, che per me è il più bello del mondo, e di poterlo fare tra tanta gente che mi vuole bene, perché la sensazione che danno le persone che incontri per strada è la stessa che prova Braccio di Ferro quando mangia gli spinaci. È la nostra forza, quella mia e della mia squadra. Il giornalismo d’inchiesta è una cosa che dà coraggio a chi lo fa, ma soprattutto a chi lo ascolta“. Sono le parole pronunciate dal giornalista Sigfrido Ranucci che, ospite di Giletti 102.5 (Rtl 102.5), presenta il suo ultimo libro, La scelta, e racconta la sua vita di autore e conduttore di Report.

Milena Gabanelli – rivela Ranucci – mi disse che mi avrebbe lasciato in eredità anche tanti notti insonni. È stato così. C’è sempre il dubbio che tu stia facendo la cosa giusta prima di andare in onda, perché si tratta di una responsabilità grandissima. Forse un’inchiesta giornalistica – continua – è più pesante di un’attività giudiziaria che si consuma nel tempo o si prescrive. C’è poi la tensione di gestire la prima serata e soprattutto le denunce preventive, che tentano di diffidarti di andare in onda. Ci sono le denunce postume, la gestione di una squadra, le telefonate prima, durante e dopo la trasmissione”.

Il giornalista dà qualche anticipazione di Report, in onda domani su Rai Tre in prima serata: “Il 17 dicembre ci siamo occupati del vino e il ministro Lollobrigida si è un po’ arrabbiato, dicendo che c’era un nemico in casa in Rai, cioè io. Noi ci torneremo e vedremo chi è che ha il nemico in casa: lui o noi. Torneremo anche sul ponte dello Stretto di Messina e vedremo tutti i conflitti di interesse e soprattutto quanto ancora ci sarà da fare prima di partire con quest’opera”.

Ranucci poi si sofferma sullo stato dell’informazione italiana e sul suo caso personale: “Ho ricevuto 178 azioni legali, tra querele e richieste di risarcimento danni. Poi, con Report, con il ruolo di autore le prendo doppie, anche quelle della mia squadra che è straordinaria. Chi fa inchieste in Italia si trova di fronte a un’intolleranza e una disattenzione da parte della politica. Ricordo che nei cassetti del Parlamento – spiega – c’è una legge che giace ormai da anni sulle liti temerarie, ossia quelle querele fatte per intimidire. Noi abbiamo le spalle larghe e protette, ma penso ai colleghi che lavorano per piccole testate e Tv locali, che scrivono per 10 euro a pezzo e a cui si chiede anche di mantenere la schiena dritta quando hanno a che fare con mafiosi del posto o politici collusi. Ricevere una querela in queste condizioni rende difficile garantire la libertà di informazione”.

E sottolinea: “Mi sono reso conto, proprio a livello di libertà di informazione, che questo è un sistema malato. È come avere a che fare con un corpo che ha una malattia ed è talmente abituato a questa patologia da considerarla normalità. Ancora oggi mi ritrovo con dei politici – conclude – che hanno ammesso di aver incassato 800mila euro in nero da un muratore palermitano e dicono che quella è la normalità perché tutti lo fanno. Ancora oggi spuntano politici che hanno cercato di fermare inchieste sulla loro amministrazione spiandoti. Credo che questo sia un sistema malato perché ancora oggi troviamo questi politici a condizionare le istituzioni“.

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