Anche i più “agguerriti” scettici stanno cominciando a ricredersi. Wembanyama non sembra affatto appartenere a una nuova categoria di giocatori. Il lungo degli Spurs è proprio l’unico della sua specie. Ha caratteristiche fisiche, dinamiche, motorie, strutturali difficilmente ripetibili. E questa cosa ha un peso enorme già ora nella NBA, nel suo anno d’esordio, con una massa muscolare ancora da costruire, con una crescita tecnica che ha ancora parecchia strada da fare. La vittoria contro i Toronto Raptors di questa settimana né è un esempio lampante. Il francese ha chiuso con 27 punti, 14 rimbalzi e 10 stoppate (non si vedeva una tripla-doppia con le stoppate di un rookie dai tempi di David Robinson). Non sono tanto le cifre. È il modo in cui le ha ottenute a impressionare. In difesa sembrava giocasse a pallavolo. Gente (Gradey Dick, per esempio, ma non solo lui…) terrorizzata al sol pensiero di poter mettere un piede in area pitturata. A un certo punto, ha stoppato da dietro Scottie Barnes che stava inchiodando, solo, indisturbato, a due mani con i gomiti quasi dentro il canestro. Un talento vero nel pensare di poter arrivare ovunque. Poi c’è anche l’altro lato del campo (il più nobile?). E anche lì Victor Wembanyama ha parecchie cose da sottolineare. Visto fare una partenza incrociata in palleggio contro Jakob Poeltl e schiacciargli in testa col braccio esteso senza nemmeno avvicinarsi troppo al canestro. Così, quasi andando verso il centro area con il corpo. Ha semplicemente allungato un braccio in direzione del ferro durante il terzo-tempo e ha abbassato il ferro. Una capacità di controllare il proprio corpo in aria, dopo aver saltato, che rasenta l’eccellenza (o la fantascienza?). Insospettabile per un giocatore con le sue dimensioni esagerate (è alto 2.24). Solo così ti spieghi il modo in cui – in contropiede, situazione di due contro due – possa riuscire a prendere un lob di Tre Jones (lanciato su Saturno) in corsa, con i piedi paralleli alla linea di fondo, senza una vera posizione di stabilità sul parquet. Ha saltato, si è messo in equilibrio in aria e ha depositato al canestro con estrema naturalezza, quasi come rimettere un tappo a un tubetto di dentifricio. È successo sempre contro i Raptors. Attenzione, vero che gli Spurs sono in fondo alla classifica della Western Conference. Però, il roster è davvero poca roba, a basket non si gioca mica da soli. C’è da giurare che con i compagni giusti, Wembanyama si farà ricordare molto bene da tutti quelli che amano il basket.

Danilo Gallinari alla corte di Antetokounmpo
Diverse le squadre a volerlo. Alla fine, l’hanno spuntata i Milwaukee Bucks. Non malissimo come destinazione finale per lui. Forse non proprio quello che serviva ai Bucks, che cercavano un giocatore con caratteristiche più difensive, da sommare al contributo del nuovo arrivato Patrick Beverly, uno che difende come se gli avessero bucato le gomme dell’auto. Gallinari potrà garantire minuti dalla panchina come cambio dei lunghi tiratori (è un 2.08). Gente come Brook Lopez (34,2% da tre, in calo quest’anno…) o Bobby Portis (38,5%), abili nel ricevere gli scarichi sul perimetro per colpire le difese che flottano verso Giannis Antetokounmpo e Damien Lillard. Se starà bene, e avrà i minuti giusti, potrà approfittare anche lui degli spazi che si aprono sul perimetro, quando giochi al fianco di due realizzatori spaziali come loro.

Ben Simmons? Non tira mai
L’annata in corso è forse l’ultima chance per Ben Simmons (anche se continua ad entrare e uscire dal campo causa guai alla schiena). L’ultima chance per raddrizzare una carriera partita in pompa magna (prima scelta assoluta nel Draft del 2016), ma poi deviata “tragicamente” fino a ridurlo ai margini della lega. Guai fisici? Tanti. Problemi caratteriali? Anche quelli, si legge sui media statunitensi. Ma soprattutto, probabilmente, un gioco che ha deciso di non far evolvere, di non migliorare, di non sviluppare. Ai Sixers, Simmons ha avuto stagioni di assoluta spettacolarità. Playmaker di 2.08 con una grande visione di gioco, molto a proprio agio nelle situazioni di transizione, dove può sfruttare il suo trattamento della palla (anche in velocità) e il suo fisico scolpito nel granito. Il problema, in generale, di Ben Simmons è il fatto che non voglia tirare (0,0% da tre in stagione con 0 tentativi da tre punti). Non è che Simmons non abbia tiro (anche… vista la tecnica… ma non è una scusante). Quello capita a giocatori come Ausar Thompson o Josh Giddey, per intenderci. Il tiro non è nemmeno nello schema mentale di Simmons. Quando la transizione viene meno, buio totale. Nel gioco di oggi, senza questa opzione, tutto diventa più prevedibile. Il difensore, di fatto, aspetta Simmons sulla linea di tiro-libero o comunque si stacca sempre nel gioco a metà-campo. Spesso, l’ex stella di LSU – in un’area già intasata – cerca lo stesso l’entrata con risultati meccanici. Non si capisce come l’ex Sixers possa uscire da questa impasse. Ma è ora o mai più per la sua carriera.

That’s all Folks!

Alla prossima settimana.

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Ti ricordi… Bebeto, il Mr. Hyde di Romario che portò il Brasile sul tetto del mondo. Oggi compie 60 anni (senza auguri di O’Baixinho)

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