Mentre il mondo si riscalda, il mare si gonfia. Le molecole d’acqua si espandono con l’aumento della temperatura e i ghiacciai che si sciolgono liberano getti d’acqua dolce, facendo crescere il volume del mare. L’acqua è la cinghia di trasmissione del clima e il mare contiene più del 97 percento dell’acqua sulla Terra. Il livello medio del mare è un indicatore climatico importante, che informa su quanto l’oceano si stia riscaldando e quanto ghiaccio terrestre si stia sciogliendo.

Il livello globale dei mari è in aumento da decenni. Una lenta risposta al riscaldamento globale. Per un terzo, questa crescita è dovuta all’espansione termica, per i restanti due terzi allo scioglimento di calotte, ghiacciai e nevai perenni.

Per circa un secolo, fino alla fine degli anni ’80, il livello del mare è cresciuto a un tasso di circa 2 millimetri all’anno. Negli ultimi trent’anni cresce a un tasso doppio, circa 4,4 millimetri all’anno, con una tendenza a un ulteriore aumento negli ultimi dieci anni. Pur consigliando lo scenario “fine del mondo” a catastrofisti e millenaristi, non ci possiamo nascondere come le proiezioni climatiche sull’anno 2100 indichino una crescita di circa 70 centimetri in un secolo, differenziata a seconda dell’area geografica e perfino del paraggio: per esempio, a Genova salirà circa 10 centimetri meno che a Venezia (v. figura).

Un fattore locale spesso trascurato è la subsidenza. Si tratta del lento e progressivo sprofondamento del fondo di un bacino marino o di un’area continentale, evidente nelle aree di geosinclinale dove l’attiva sedimentazione produce imponenti serie detritiche. Più raramente, l’opposto fenomeno del sollevamento può giocare un ruolo importante sulla futura quota su cui si assesterà un’area costiera.

Una recente ricerca sulle coste africane ha analizzato le 20 città più popolose, combinando le proiezioni di espansione marina con la tendenza geologica locale al sollevamento o allo sprofondamento, valutabile in base alla cronistoria delle immagini satellitari. La superficie apparentemente rigida della Terra è in realtà malleabile. Mentre alcune zone, abbastanza limitate, si stanno sollevando, molte aree costiere, in particolare quelle a rapida crescita demografica, stanno affondando. Accade per esempio a Lagos, dove si prevede una popolazione urbana prossima a 21 milioni di abitanti entro il 2030.

Nessuno dubita che solo una riduzione drastica delle emissioni possa rallentare il riscaldamento globale. E pochi dubbi ci sono sul fatto che, a causa della enorme latenza della risposta climatica degli oceani, si potrebbe osservare una significativa riduzione del riscaldamento solo dopo una trentina di anni dal momento in cui l’umanità decidesse di operare tale riduzione. La riduzione è necessaria ma non più sufficiente.

Ridurre la subsidenza, in molti casi, fa parte delle misure di adattamento a misura d’uomo. A Lagos la subsidenza è legata al sovra-sfruttamento delle acque sotterranee: stanno strizzando troppo la spugna. A Lagos come ad Alessandria d’Egitto, Mombasa, Lome, Dar es Salaam e Douala, il tasso annuo con cui il terreno sprofonda è impressionante, dell’ordine di un centimetro all’anno. L’effetto della subsidenza che si combina con la risalita del mare non solo pone a rischio di mareggiata le zone più prossime alla linea di costa, ma accresce anche il rischio di inondazione legato al rigurgito delle piene di grandi e piccoli fiumi e delle fognature urbane.

Anche l’attività mineraria può causare alti tassi di subsidenza, come accade nella stessa Lagos a causa delle cave di materiale sabbioso, peraltro indispensabile per costruire le nuove abitazioni richieste dalla crescita demografica. Sempre in Nigeria, l’estrazione petrolifera impatta sulla stabilità topografica di Port Harcourt, così come la regione di Durban ricchissima di risorse minerarie, dall’oro al carbone, sprofonda a causa dell’attività mineraria. Anche il carico delle costruzioni, sempre più alte e dense, può esaltare la subsidenza, come accade ad Alessandria.

Un’alta percentuale della popolazione urbana dell’Africa Occidentale vive nelle città costiere: il 23 percento in Nigeria, il 67 percento in Senegal, dove la zona costiera di Dakar ospita il 90 percento delle attività industriali del paese. In Ghana, Benin, Togo, Sierra Leone e Nigeria, la maggior parte delle attività economiche, spina dorsale delle economie nazionali, si trovano all’interno della zona costiera. Le zone costiere sono il loro paniere alimentare, assieme agli estuari e le lagune che sostengono la pesca. Non molto diversa è la situazione dell’Africa Orientale, così come quella di molte aree africane che si affacciano sul Mediterraneo, che hanno un valore economico, sociale e ambientale molto elevato.

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