di Marco Pozzi

Nella notte del 2 luglio 1994, in un parcheggio a Medellin, viene ucciso Andrés Escobar, difensore della nazionale di calcio che undici giorni prima, ai Mondiali, aveva realizzato un autogol contro gli Stati Uniti causando l’eliminazione della sua Colombia.

Al mattino successivo all’omicidio, trasmessa da radio e televisioni, la notizia arriva a un dottorando che all’università insegna sociologia dello sport, colpendolo profondamente, anche perché Andrés Escobar era conosciuto come il “gentiluomo del calcio”, non associato ad ambienti dubbi e pericolosi.

Il dottorando, Jürgen Griesbeck, comincia a studiare la violenza urbana in Colombia, arrivando a ripensare il calcio come possibile spazio per il dialogo e mezzo per ridurre la violenza. Nel 1996 insieme ad alcuni colleghi sviluppa Fútbol por la Paz, il Calcio per la pace, adattando una partita di calcio a occasione di dialogo fra i giovani vittime di conflitti armati: si gioca senza arbitri, basandosi sui valori di parità di genere, fair play e risoluzione pacifica dei conflitti. Da lì il progetto si evolve nella rete Streetfootballworld (oggi Common Goal) e matura in una metodologia per affrontare problemi sociali: il football3.

Il “3” nel nome dipende dal fatto che il gioco si sviluppa in tre fasi: 1) le due squadre concordano le regole di gioco; 2) le squadre, formate da 5-6 giocatori, si accordano su falli, punizioni e goal, e solo se non ci riescono ad accordarsi interviene un mediatore; 3) le squadre, rispetto alle regole stabilite all’inizio, premiamo l’avversario coi “punti fair play”, che si aggiungono ai goal segnati.

Ci sono “regole fisse”, le stesse per ogni partita, e “regole aperte” che vengono discusse insieme dalle squadre per quella partita. Alcuni esempi di regole aperte: “entrambe le squadre festeggiano quando viene segnato un gol, indipendentemente da chi l’ha segnato”; “una ragazza deve segnare per prima perché si contino i gol degli altri”; “un assist deve provenire da un giocatore di sesso opposto perché il gol venga conteggiato”; “la palla non può essere giocata al di sopra della vita”; “i gol consecutivi di una squadra devono alternarsi tra un giocatore femmina e un giocatore maschio”; “il portiere è a rotazione dopo ogni gol segnato”.

Alla fantasia delle squadre e dei mediatori è lasciato il compito di creare le regole a seconda dei temi che si vogliono affrontare insieme, promuovendo la responsabilità al loro rispetto, il dialogo, la conciliazione fra giocatori di ogni età, sesso, caratteristica.

Lo so, i lettori staranno pensando: sì, ma vallo applicare a una partita di calcio vero. Ne abbiamo parlato con Elena Bonato dell’associazione Balon Mundial, unica realtà italiana nella rete internazionale che utilizza il football3 per affrontare dinamiche sociali. Ci ha raccontato che a Torino Balon Mundial organizza laboratori di football3 nelle scuole per ragazze e ragazzi fra gli 11 e i 19 anni, nell’ora di educazione fisica; allena otto squadre cittadine, organizzando tornei presso la casa del quartiere Cecchi point e al circolo Arci Da Giau; aiuta altre associazioni che in Italia vogliano cimentarsi nel football3, applicando il metodo con obiettivi differenti, quali ad esempio il lavoro di squadra e l’inclusione di persone con disabilità.

I progetti funzionano, e crescono. Common Goal è oggi una rete internazionale di oltre 100 organizzazioni no-profit, in oltre 60 Paesi. Nella città dove si svolgono grossi eventi, in parallelo a Olimpiadi o mondiali di calcio, spesso si organizzando tornei dimostrativi di football3, a dimostrazione di quale possa essere l’effetto del calcio sulle comunità, rafforzandole e migliorando la vita specialmente dei giovani. Non a caso il football3 si ispira al calcio di strada, non irrigidito in rituali e contratti, dove tutto è vivo, è pulsante, e prende spontaneamente forma nel momento in cui accade.

Lo sport sempre si è evoluto e continua a farlo, benché non ce ne rendiamo conto, come ogni elemento della nostra società che esiste dentro al tempo. Gli stessi principi cominciano a trovare forma anche nel basket3 e volley3, e chissà in quanti altri sport nel prossimo futuro. Adattare le evoluzioni a migliorare la vita delle comunità, lontano dai mercati e dai grandi eventi, non è tempo sprecato.

A quando una società3?

Articolo Precedente

Costruire stadi (3 su 6) per avere in cambio materie prime: Coppa d’Africa made in China altra tappa del neocolonialismo di Pechino

next
Articolo Successivo

Coppa D’Africa, la Costa d’Avorio vince la finale 2-1 contro la Nigeria: Haller segna il terzo trionfo

next