Il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha sciolto il Giurì d’onore costituito per stabilire la verità sulle accuse di Giorgia Meloni a Giuseppe Conte proposito dell’approvazione della riforma del Mes. Lo ha annunciato in Aula a Montecitorio la vicepresidente di turno, Anna Ascani del Pd, dopo la lettera in cui il leader M5s chiedeva di sciogliere l’organo a seguito delle dimissioni di due componenti. La presidenza, ha riferito Ascani, “prende atto del ritiro dell’istanza”, pur “senza entrare nel merito delle considerazioni espresse nella lettera”, in cui si denunciava la mancanza di imparzialità del Giurì. “La commissione di indagine si intende conseguentemente sciolta“, ha aggiunto. Mercoledì i due membri in quota centrosinistra, Stefano Vaccari del Pd e Filiberto Zaratti di Alleanza Verdi e Sinistra, si erano dimessi sostenendo che nelle sedute svolte fino a quel momento la controversia fosse stata esaminata con interpretazioni di parte, all’unico scopo di dar ragione alla premier. Come conseguenza, Conte aveva chiesto lo scioglimento immediato della commissione, avendo appreso “con grave sconcerto che sono venuti a mancare i presupposti di terzietà e la possibilità di pervenire a una ricostruzione imparziale scevra da strumentali interpretazioni di mero carattere politico”.

Il Giurì è uno speciale organo attivabile su richiesta di un parlamentare che ritenga violata la propria onorabilità da affermazioni pronunciate in Aula. Non ha poteri sanzionatori: il suo scopo è soltanto, in parole povere, quello di “decidere chi ha ragione” e riferirlo all’Assemblea, che ne prende atto senza votazioni. Il consesso era stato formato a gennaio, su richiesta di Conte, dopo che a dicembre Meloni aveva accusato – sia alla Camera che al Senato – il suo secondo governo di aver detto sì al “nuovo” Meccanismo europeo di stabilità “con il favore delle tenebre” (citando ironicamente un celebre discorso del leader 5s), senza consultare il Parlamento, il giorno dopo le dimissioni a gennaio 2021. Si tratta però di un’affermazione falsa, perché il Parlamento era stato consultato: per la precisione il 9 dicembre 2020, quando una risoluzione dell’allora maggioranza (M5s, Pd, Iv, Leu) approvata da entrambe le Camere impegnò l’esecutivo “a finalizzare l’accordo politico raggiunto all’Eurogruppo e all’ordine del giorno dell’Eurosummit sulla riforma del trattato del Mes”. Proprio in base a quella risoluzione, il 20 gennaio l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio diede incarico al rappresentante permanente dell’Italia, l’ambasciatore Maurizio Massari, di sottoscrivere l’accordo, che fu firmato il 27, il giorno dopo le dimissioni dell’esecutivo.

Prima della comunicazione dello scioglimento in Aula, Fontana ha incontrato il presidente del Giurì, il deputato di Forza Italia Giorgio Mulè, per comunicargli la decisione. L’esponente leghista, si legge in una nota di Montecitorio, “ha ringraziato Mulè per l’accuratezza e la precisione del lavoro svolto e per la perfetta aderenza al regolamento della Camera della procedura seguita per giungere alla relazione finale”, schierandosi quindi di fatto dalla sua parte contro le accuse dell’opposizione. Un assist che l’azzurro raccoglie subito: “Voglio rivolgere un ringraziamento al presidente della Camera che ha usato parole per riconoscere l’accuratezza del lavoro fatto. Lo ringrazio anche per aver riconosciuto la perfetta aderenza al regolamento della Camera. Spero che le parole di Fontana siano sufficienti a chi si è avventurato con giudizi sul mio ruolo di arbitro che è stato terzo e imparziale“, dice in una conferenza stampa convocata apposta per dare la propria versione. “Se fossimo stati in un Tribunale tutto quello che è successo sarebbe stato considerato un oltraggio alla Corte. In questo caso l’oltraggio è stato compiuto nei confronti delle istituzioni, della Camera dei deputati”, attacca, accusando Conte di “portare via il pallone” contestando la ricostruzione dei membri dimissionari, Vaccari e Zaratti. Non è vero, dice Mulè, che i giurati di centrodestra fossero già “pronti a dar ragione alla Meloni“: “Sono falsità affermata distorcendo la realtà: non è vero neanche che si sia anche solo tentato di far prevalere una inesistente maggioranza. La maggioranza non ha concluso nulla perché nulla era stato ancora deciso. È un fatto che l’unico voto registrato fino a ieri era l’unanimità. Non ho mai negato una relazione di minoranza”, rivendica.

A rispondergli in serata è Conte: “Ringrazio il presidente della Camera Fontana che ha deciso di sciogliere il Giurì d’onore che rischiava di essere non imparziale, come denunciato da due seri e autorevoli commissari, che si sono dimessi proprio per questa ragione. Vedo che Mulè e la grancassa meloniana stanno parlando di oltraggio alle istituzioni, ma sono fuori dal mondo. La verità è che si voleva far vincere facile Meloni, ma a perdere sarebbero state le istituzioni, che perdono sempre ogniqualvolta un presidente del Consiglio viene in Aula in Parlamento a mentire agli italiani“, dice ai cronisti (video). Da parte del presidente del Giurì, attacca, “non c’è stato lo scorcio di un autocritica: dovrebbe interrogarsi sul perché si è ritrovato senza commissari accanto. Il pallone io non l’ho portato via, perché non ce l’ho avuto mai in mano. Lo aveva invece il presidente Fontana e ha deciso, alla luce dei fatti sopravvenuti, che non si potesse proseguire”. Ma Mulè non ci sta e contro-ribatte, provocato dai giornalisti: “Usare il presidente della Camera come “scudo” per continuare a sostenere tesi che fanno a pugni con la realtà non fa onore all’onorevole Giuseppe Conte. Sciolto il Giurì si è liquefatto l’onore“, chiosa.

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