Una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica indipendente International Journal of Public Health stima in quasi 330mila – di cui un terzo italiane – le vite umane sarebbero sacrificate in Europa dal rinvio di 10 anni dell’adempimento ai nuovi limiti sulla qualità dell’aria indicati dall’Oms, proroga verso cui spinge anche il governo Meloni. La direttiva europea sulla qualità dell’aria deve essere aggiornata perché l’ultima versione risale al 2008 e prevede limiti obsoleti agli inquinanti dell’aria dannosi per la salute umana come il particolato (PM2,5) e il biossido di azoto (NO2): per il particolato l’attuale limite è 25 μg/m3 – ovvero cinque volte maggiore di quello indicato dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità nel 2021 come non dannoso per la salute umana (5 µg/m³ per il PM2,5); per il biossido di azoto l’Ue ammette 40 μg/m3: quattro volte il limite massimo ammesso dall’Oms. Il Piano d’azione Zero Pollution 2021 della Commissione Europea – che è parte del Green Deal – sottolinea la necessità che la legislazione dell’Ue si allinei agli studi scientifici e alle raccomandazioni dell’Oms.

Le diverse posizioni di Parlamento e Consiglio Ue
I contenuti della nuova direttiva sono attualmente in discussione tra Europarlamento e Consiglio dell’Ue all’interno del Trilogo, dove i colloqui avvengono a porte chiuse. Le posizioni tra le due istituzioni sono molto diverse: l’Europarlamento a settembre 2023, ha votato per l’allineamento alle linee guida dell’Oms entro il 2035, mentre il Consiglio – formato dai rappresentanti degli Stati Membri – chiede limiti alti il doppio rispetto all’inquinamento stabilito come accettabile dall’Oms, ne rimanda l’attuazione al 2040, e aggiunge deroghe alla direttiva definite “ampie e poco chiare, dunque tali da ostacolare l’effettività del diritto a respirare l’aria pulita” dalle associazioni Cittadini per l’Aria e Torino Respira. In particolare, spiega Anna Gerometta (presidente di Cittadini per l’Aria), il Consiglio – Italia in testa – chiede deroghe per i Paesi “che hanno un’orografia, come la Pianura Padana, che può rendere più difficile il raggiungimento di quei limiti e per i Paesi con condizioni socio-economiche svantaggiate, come gli Stati dell’Est Europa”. Secondo Gerometta l’Italia “facendosi guidare dalla posizione delle regioni padane, sostiene che non potrebbe rientrare in quei limiti, dimenticando che l’impossibilità è lo specchio di politiche errate del passato che le Regioni padane, anche in questi giorni, evidenziano di voler mantenere nel futuro: sovvenzionare la mobilità a motore invece che investire in treni, a incentivare le stufe a legna invece che dare sussidi solo a pompe di calore e efficientamento, a supportare gli allevamenti e l’agricoltura intensivi, invece che aiutare i piccoli coltivatori. Le soluzioni sono a portata di mano e la Commissione ha già annunciato aiuti per le aree più problematiche”.

Cosa imporrà la nuova direttiva
La nuova direttiva imporrà agli Stati membri di elaborare piani per la qualità dell’aria per le zone in cui i livelli di inquinanti superano i valori limite e i valori obiettivo. I piani devono definire provvedimenti adeguati per mantenere il periodo di superamento il più breve possibile, e indicano le autorità competenti dell’elaborazione e dell’attuazione dei piani per la qualità dell’aria. Gli Stati membri saranno tenuti a fissare soglie di allarme o di informazione per determinati inquinanti atmosferici, al fine di proteggere la popolazione in generale e i gruppi più vulnerabili dall’esposizione a concentrazioni elevate di tali inquinanti. In caso di rischio di superamento di tali soglie, gli Stati dovranno elaborare piani d’azione a breve termine che stabiliscano misure di emergenza per ridurre il rischio immediato per la salute umana. La nuova direttiva obbligherà inoltre gli Stati membri a istituire almeno un supersito di monitoraggio sul loro territorio, in base alla popolazione e alle dimensioni, per raccogliere dati a lungo termine sugli inquinanti atmosferici contemplati dalla direttiva, nonché su quelli che destano nuove preoccupazioni e su altri parametri pertinenti. Inoltre la proposta di direttiva stabilisce disposizioni volte a garantire l’accesso alla giustizia a coloro che vantano un interesse sufficiente e intendono sollevare contestazioni in merito alla sua attuazione, comprese le ong ambientaliste. Qualsiasi procedura di ricorso giurisdizionale dovrebbe essere equa, tempestiva e non eccessivamente onerosa. In base alle nuove norme, gli Stati membri dovrebbero garantire che le persone abbiano il diritto di chiedere e ottenere un indennizzo in caso di danno alla loro salute a seguito di una violazione intenzionale o dolosa delle norme nazionali che recepiscono determinate disposizioni della direttiva.

“I ritardi comportano la perdita di vite umane e problemi di salute”
Lo studio pubblicato sull’International Journal of Public Health, spiega che i ritardi nell’attuazione della direttiva in Europa comporterebbero perdite di vite umane prevenibili e aggraverebbero le disuguaglianze tra la popolazione europea: “Per gli Stati membri dell’Ue con un’esposizione media a PM2,5 – ponderata in base alla popolazione- superiore a 10 μg/m3 nel 2020, un ritardo di 10 anni nel raggiungimento di un livello di 10 μg/m3 (ovvero nel 2040 anziché nel 2030) comporterebbe oltre 327.600 morti premature”. Questo calcolo presuppone una diminuzione lineare dei livelli di PM2,5 dal 2020 a un livello di 10 μg/m3 nel 2030 o nel 2040 e utilizza la stima del rischio relativo ricavata dalle meta-analisi sul PM2,5 e sulla mortalità per tutte le cause preparate per l’Oms. Si evidenzia che “due terzi del carico sanitario prevenibile colpisce i Paesi più poveri dell’Europa orientale e circa un terzo in Italia” e che i numeri delle vittime “non includono i milioni di casi di malattie cardiovascolari e respiratorie, così come l’impatto sulle capacità cognitive e sullo sviluppo della prima infanzia, e le sofferenze associate, i giorni di malattia e i costi sanitari”.

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