di Enza Plotino

I pastori sardi ci avevano creduto! Quando, nel 2018 la protesta contro il crollo dei prezzi aveva determinato una grave crisi del settore e i pastori avevano manifestato anche versando il latte sulle strade in segno dolorosamente dimostrativo, Salvini era sbarcato in Sardegna (fiutando odore di voti e consensi) per promettere a persone disperate soluzioni mirabolanti in tempi ristrettissimi: “Ho incontrato al Ministero i pastori sardi, obiettivo: risolvere il problema entro 48 ore”. I pastori allora gli credettero, dando il loro voto a un secessionista del Nord e facendo vincere Solinas alle scorse regionali.

Naturalmente niente è avvenuto per i pastori che, di tutte quelle promesse elettorali, si sono ritrovati con un pugno di mosche in mano. Non solo! Alcuni manifestanti, un migliaio circa, nel 2020 si erano visti arrivare a casa avvisi di garanzia per manifestazioni non autorizzate, pagando con la beffa di un’indagine una protesta che li aveva visti finalmente alzare la testa.

Oggi Salvini sbarca nuovamente in Sardegna, fiaccato da un braccio di ferro con Meloni sul candidato alle regionali e perdente, visto che Solinas è stato messo da parte e al suo posto è subentrato il candidato di FdI Truzzu, già sindaco di Cagliari e in procinto di tentare il grande salto. E arriva con un bagaglio di proposte indecenti tra le quali l’autonomia differenziata, sperando di riconquistare quel popolo che ha circuito e poi tradito. Ma sull’autonomia la Sardegna ha già dato!

La politica di coesione comunitaria divide l’Europa in tre spicchi: le regioni più sviluppate, quelle meno sviluppate e – nel mezzo – le regioni in transizione. L’assegnazione tiene conto del divario tra Pil pro capite di una regione (misurato in parità di potere d’acquisto) e la media dell’Unione europea. Rientrano tra le regioni più sviluppate solo quelle che superano il valore medio del Pil pro capite nella Ue che è, per il 2021-2027, tra il 75 e il 100%. Sulla base di questo criterio la Sardegna, che fino allo scorso anno faceva parte delle regioni “in transizione”, passa (insieme al Molise) nel gruppo delle regioni “meno sviluppate”.

Se non è una bocciatura vera e propria, poiché non c’è nessun giudizio ma un calcolo statistico e poiché aumenta le possibilità di ottenere fondi europei per le Regioni disagiate, di certo questo declassamento discende da quel che è successo negli ultimi anni in Sardegna: una crisi di sistema che morde e ha abbassato tutti i parametri dei servizi essenziali, conseguentemente la stagnazione del Pil, le gravi difficoltà della produzione industriale, la bassa produttività dei servizi, l’economia turistica al palo, politiche fallimentari in ogni ambito, e soprattutto la prerogativa di autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria data dall’essere una Regione a statuto speciale, vanificata dalla inefficienza e incapacità della giunta di destra di Solinas.

La Sardegna a statuto speciale non ha prodotto uno straccio di norme utili a fare ordine nel ginepraio della Sanità, dei piani paesaggistici, urbanistici, infrastrutturali, che avrebbero dovuto riordinare le storture e rilanciare l’isola. Un disastro politico che la destra ha determinato e che oggi vorrebbe riproporre, in barba alla dignità e al rispetto per un popolo stremato da una crisi di sistema che va avanti senza soluzione di continuità.

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