Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Italia e sempre più Paesi si stanno affrettando a sospendere i fondi destinati a finanziare l’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (Unrwa) dopo lo scandalo che ha coinvolto 12 loro dipendenti a Gaza, accusati di aver preso parte all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. Provvedimenti lampo che non hanno precedenti nella storia recente delle Nazioni Unite, nonostante numerosi (e gravi) siano gli scandali che hanno coinvolto operatori e militari impegnati in tutto il mondo.

Ciò che sorprende, oltre alla notizia sul presunto coinvolgimento dei dipendenti Onu, è la rapidità con la quale i governi hanno deciso di interrompere i finanziamenti in attesa di un’inchiesta più approfondita da parte delle Nazioni Unite che hanno già licenziato 9 delle 12 persone coinvolte, mentre su altri due sono in corso verifiche e uno risulta, invece, tra le circa 150 vittime Unrwa dei raid israeliani su Gaza. Sono passati appena tre giorni dalla pubblicazione delle accuse, dopo la segnalazione inviata da Israele, e già più di dieci Paesi, nel momento in cui si scrive, hanno annunciato il blocco dei fondi destinati all’agenzia. Una decisione che rischia di risultare catastrofica per la popolazione di Gaza, afflitta da quasi 4 mesi di bombardamenti ininterrotti e da aiuti umanitari che stentano a raggiungere i bisognosi, dato il blocco parziale ai valichi di frontiera. “Se i finanziamenti non verranno ripristinati, l’Unrwa non sarà in grado di continuare i suoi servizi e le sue operazioni in tutta la regione, inclusa Gaza, oltre la fine di febbraio”, ha infatti spiegato un portavoce.

Oltre al fatto che lo scandalo è esploso proprio nel giorno in cui la Corte Internazionale di Giustizia ha deciso di rigettare la richiesta di archiviazione di Tel Aviv sulle accuse di genocidio mosse dal Sudafrica, come ha fatto notare al Fatto Quotidiano la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, ciò che risulta evidente è anche il diverso approccio dei governi se lo si paragona ad altri gravi scandali che hanno coinvolto missioni delle Nazioni Unite. Stupri e uccisioni sommarie in passato hanno portato a indagini condotte dall’organizzazione nel tentativo di salvare la propria credibilità. Ma mai, o almeno non con questo risalto pubblico e mediatico, i governi hanno annunciato lo stop ai fondi.

Prendiamo l’esempio della Monusco, la missione di pace nella Repubblica Democratica del Congo che si avvia alla sua conclusione con accuse di inattività nei confronti delle milizie armate che dilagano nel Paese e alla quale anche l’Italia ha destinato decine di milioni di dollari di finanziamenti: già da rapporti Onu datati 2015 o 2016 erano emerse decine di casi di violenze sessuali commesse dai peacekeepers nei confronti di ragazze anche minorenni. Lo scandalo ha avuto enorme rilevanza mediatica, ma nessun blocco ai finanziamenti è mai stato annunciato, almeno senza l’eco riservato alle indagini sui 12 dipendenti Unrwa, lo 0,09% circa di tutti quelli impiegati nel supporto alla popolazione di Gaza.

Lo stesso approccio si nota anche in casi altrettanto noti, come quello che coinvolge sempre i Caschi Blu nelle missioni nella Repubblica Centrafricana, dove le violenze, secondo quanto raccolto dall’Onu, sono andate avanti per molti anni, e Haiti, con i militari accusati di aver stuprato anche bambini di 7 anni. Un sistema di violenze così diffuso, in quest’ultima missione, tanto che è stato coniato anche un appellativo per i bambini nati in seguito a questi stupri: Minustah, dall’acronimo della missione Onu.

Senza dimenticare lo scandalo dei fondi destinati alle Nazioni Unite in Siria, dove lavoravano, in agenzie come Unhcr e Oms, come rivelarono inchieste giornalistiche, anche parenti del dittatore Bashar al-Assad. In quel caso, i reporter dimostrarono come parte dei fondi finisse nelle mani di entità legate al regime di Damasco, ma nessun Paese annunciò lo stop ai finanziamenti.

Di casi simili ne esistono molti altri, ma è giusto ricordare che, a differenza dei Caschi Blu, generalmente provenienti da altri Paesi membri, i dipendenti di Unrwa, in particolare nella Striscia di Gaza, sono quasi totalmente palestinesi. In un contesto di isolamento come quello dell’enclave e con Hamas al governo da quasi 20 anni.

Twitter: @GianniRosini

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