Dietro il fermo ai fondi di nove paesi, fra i quali l’Italia, destinati all’Unrwa, l’agenzia Onu che si occupa dei palestinesi a Gaza, c’è una motivazione politica. La giustificazione, data anche da Tajani, ha del ridicolo: una decina di membri dell’agenzia sarebbero coinvolti negli attacchi del 7 ottobre e per questo, come ripicca, si congela ogni finanziamento fino a quando non si farà luce. E’ come se l’Unione Europea avvisasse Tajani di congelare ogni finanziamento verso l’Italia perché un gruppo di mafiosi ha fatto profitto sui fondi dati dalla Ue – cosa non poi così lontana dalla realtà.

Le colpe di un gruppo di criminali, mafiosi italiani o dipendenti di una agenzia della Nazioni Unite, non possono ricadere sulla collettività. Almeno così dovrebbe essere. E fa storcere il naso il fatto che la coscienza di questi nove paesi si sia risvegliata ora, attraverso una bella stretta al portafogli, considerando che una azione del genere non è stata mai intrapresa in passato.

Neanche quando fonti giornalistiche, e non solo, hanno svelato come i fondi – centinaia di milioni – delle Nazioni Unite fossero confluiti, attraverso un giro molto opaco, nelle tasche di entità vicine al regime siriano. Lo raccontò bene il Guardian, giornale inglese, nel 2016 e altri quotidiani non italiani, negli anni successivi, ne hanno dato notizia a più riprese parlando di un sistema che è attivo ancora oggi. Ma questo non ha indotto i donatori, come l’Italia, né l’opinione pubblica a farsi domande.

Per la Siria va bene il silenzio. Mentre in questo caso la decisione politica è quella di riuscire a piegare quello che resta di Gaza, portando la popolazione a sperimentare condizioni umane già viste in altri teatri mediorientali che si sono voluti dimenticare. Per questo motivo, e per i danni che questa scelta porterà, sarebbe giusto far sedere al tavolo degli imputati di qualche tribunale internazionale anche i responsabili politici di questa decisione scellerata. Capo d’accusa? Sceglietelo voi.

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