L’RNA ricopre un ruolo chiave nello sviluppo della malattia di Alzheimer. Brevi filamenti di RNA tossici sembrano, infatti, avere un’azione decisiva nella morte delle cellule cerebrali e nello sviluppo dei danni al DNA nell’Alzheimer e nei cervelli invecchiati. A rivelarlo uno studio della Northwestern Medicine, pubblicato su Nature Communications. La malattia comporta una perdita sostanziale di cellule cerebrali. Ma, gli eventi all’origine della morte dei neuroni sono stati finora poco conosciuti.

La scoperta – Il nuovo studio ha rilevato che i filamenti corti di RNA protettivi diminuiscono durante l’invecchiamento, il che potrebbe facilitare la strada allo sviluppo dell’Alzheimer. I ricercatori hanno, inoltre, scoperto che gli individui più anziani con una capacità di memoria superiore, noti come SuperAgers, hanno una maggiore quantità di filamenti di RNA corto protettivo nelle loro cellule cerebrali. I SuperAgers sono individui di età pari o superiore a 80 anni con abilità mnemoniche pari a quelle di individui di 20 o 30 anni più giovani. “Nessuno ha mai collegato le attività degli RNA all’Alzheimer”, ha detto Marcus Peter, professore di metabolismo del cancro Tom D. Spies alla Northwestern University Feinberg School of Medicine e autore dello studio. “Abbiamo scoperto che, nelle cellule cerebrali che invecchiano, l’equilibrio tra sRNA tossici e protettivi si sposta verso quelli tossici”, ha continuato Peter. La scoperta potrebbe avere rilevanza anche al di là dell’Alzheimer.

Gli attuali farmaci per l’Alzheimer – “I nostri dati forniscono una nuova spiegazione del motivo per cui, in quasi tutte le malattie neurodegenerative, gli individui colpiti abbiano decenni di vita senza sintomi e poi la malattia inizi a insediarsi gradualmente; questo avviene perché le cellule perdono la loro aurea protettiva con il passare dell’età”, ha spiegato Peter. I risultati suggeriscono anche una nuova via per il trattamento dell’Alzheimer e potenzialmente di altre malattie neurodegenerative. L’Alzheimer è caratterizzato dalla progressiva comparsa di placche di amiloide-beta, grovigli neurofibrillari tau, cicatrici e morte finale delle cellule cerebrali. “Il grande investimento nella scoperta di farmaci per l’Alzheimer si è concentrato su due meccanismi: la riduzione del carico di placche amiloidi nel cervello, che è il segno distintivo della diagnosi di Alzheimer e ricopre il 70-80% degli sforzi in materia, e la prevenzione della fosforilazione della tau o dei grovigli”, ha affermato Peter. “Tuttavia – ha proseguito Peter – i trattamenti mirati a ridurre le placche amiloidi non hanno ancora portato a una terapia efficace e ben tollerata”.

La possibile nuova strada – “I nostri dati supportano l’idea che stabilizzare o aumentare la quantità di RNA corti protettivi nel cervello potrebbe essere un approccio completamente nuovo per arrestare o ritardare l’Alzheimer o la neurodegenerazione in generale” ha sottolineato Peter, che ammette l’esistenza di farmaci in grado di bilanciare i livelli di RNA, ma specifica che devono essere prima testati su modelli animali e poi migliorati. Il prossimo passo della ricerca è, dunque, quello di determinare in diversi modelli animali e cellulari, nonché nei cervelli di pazienti affetti da Alzheimer, l’esatto contributo apportato dagli sRNA tossici nella morte cellulare riscontrata nella malattia di Alzheimer e di esaminare composti migliori che aumentino selettivamente il livello di sRNA protettivi o che blocchino l’azione di quelli tossici.

Il ruolo degli sRna tossici – Nell’uomo, tutte le informazioni genetiche sono immagazzinate sotto forma di DNA all’interno del nucleo di ogni singola cellula. Per trasformare queste informazioni genetiche nei mattoni della vita, il DNA deve essere convertito in RNA, che viene poi impiegato dalle macchine cellulari per produrre le proteine. L’RNA è essenziale per la maggior parte delle funzioni biologiche. Oltre a questi RNA lunghi codificanti, esiste un gran numero di RNA corti, sRNA, che non codificano per le proteine. Questi hanno altre funzioni specifiche nella cellula. Una classe di questi sRNA sopprime gli RNA lunghi codificanti attraverso un processo, chiamato interferenza dell’RNA, che porta al silenziamento delle proteine per cui gli RNA lunghi codificano.

Peter e colleghi hanno ora identificato sequenze molto brevi presenti in alcuni di questi sRNA che, una volta presenti, possono uccidere le cellule bloccando la produzione di proteine necessarie alla loro sopravvivenza e provocando così la morte cellulare. I loro dati suggeriscono che questi sRNA tossici sono coinvolti nella morte dei neuroni che contribuisce, a sua volta, allo sviluppo della malattia di Alzheimer. Gli sRNA tossici sono di solito inibiti da sRNA protettivi. Un tipo di sRNA è chiamato microRNA. Sebbene i microRNA svolgano molteplici ruoli regolatori importanti nelle cellule, sono anche la specie principale di sRNA protettivi. Questi sono l’equivalente di guardie che impediscono agli sRNA tossici di entrare nel macchinario cellulare che esegue l’interferenza dell’RNA. Ma, il numero delle guardie diminuisce con l’età, permettendo così agli sRNA tossici di danneggiare le cellule.

Lo studio sui topi e sulle cellule di pazienti – L’aggiunta di miRNA protettivi potrebbe proteggere parzialmente le cellule cerebrali modificate per produrre sRNA meno protettivi dalla morte cellulare, indotta dai frammenti di beta amiloide, che scatenano l’Alzheimer. Il potenziamento dell’attività della proteina che aumenta la quantità di microRNA protettivi inibisce parzialmente la morte delle cellule cerebrali indotta dai frammenti di beta amiloide e blocca completamente i danni al DNA, che sono stati osservati anche in pazienti affetti da Alzheimer. Per lo studio, gli scienziati hanno analizzato il cervello di modelli murini con malattia di Alzheimer, il cervello di topi giovani e anziani, neuroni derivati da cellule staminali pluripotenti indotte di individui normali, sia giovani che anziani, e di pazienti affetti da Alzheimer, il cervello di un gruppo di individui anziani di oltre 80 anni con capacità di memoria equivalenti a individui di 50 e 60 anni, e molteplici linee cellulari neuronali derivate dal cervello umano trattate con frammenti di amiloide beta, un fattore scatenante dell’Alzheimer.

Lo studio

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