La fine della partnership tra il socio pubblico Invitalia e ArcelorMittal, con conseguente nuovo commissariamento dell’ex Ilva, non è una decisione del governo ma “viene imposta da Vostre decisioni”. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano risponde così ad Aditya Mittal, amministratore delegato di ArcelorMittal, che in una missiva datata 18 gennaio si era improvvisamente detto disponibile a cedere praticamente su tutto – dopo mesi di stallo sul rifinanziamento del siderurgico – a patto che non venisse attivata l’amministrazione straordinaria. Il redde rationem non lascia indifferenti i sindacati. “Occorre immediatamente passare dalle lettere ai fatti concreti per evitare la fermata totale degli impianti che porterebbe alla morte dell’ex Ilva”, è l’appello del segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, che accusa Arcelor Mittal “di prendere ulteriore tempo con l’obiettivo palese di portare gli impianti allo sfinimento”.

“La situazione di crisi di Acciaierie d’Italia S.p.A. nasce esclusivamente dalla decisione del Gruppo ArcelorMittal di venir meno alle proprie prerogative di socio industriale”, ricostruisce nella sua lettera il braccio destro di Giorgia Meloni, “prerogative che ArcelorMittal aveva ribadito nei confronti del Governo, non più tardi di quattro mesi fa, con la firma del Memorandum of Understanding dell’11/9/2023″. Un documento firmato da Mittal con il ministro Raffaele Fitto e del quale Invitalia era stata incredibilmente tenuta all’oscuro.

Il governo “in questa vicenda non ha adottato ‘un approccio unilaterale'”, sostiene Mantovano, “ma ha ricercato ogni possibile soluzione nel migliore ed esclusivo interesse di ADI, della sua controllante Acciaierie d’Italia Holding S.p.A. e di tutti i loro stakeholders, inclusi per primi i lavoratori e i fornitori, come è stato, da ultimo, confermato nel confronto avuto con Lei e con i suoi collaboratori, a Palazzo Chigi, l’8 gennaio u.s”. Quando Arcelor si è detta indisponibile ad assumere impegni finanziari anche come socio di minoranza e si è cristallizzata la rottura col governo. Sugli elementi di dettaglio, conclude il sottosegretario, “Invitalia provvederà ad indirizzarvi specifica comunicazione, in coerenza con la normativa vigente”.

Intanto i sindacati chiedono che il prestito di 320 milioni promesso dal governo arrivi al più presto: “Se davvero Mittal è disposto a cedere su tutto, come ha scritto nella lettera inviata al Governo il 18 gennaio scorso, perché non lo dimostra negli stabilimenti?”, attacca Palombella. “Perché, invece, a Taranto spegne l’altoforno 2, nelle batterie guardie idrauliche non c’è drenaggio e l’acqua blocca il passaggio del gas arrivando quasi al fermo totale? Perché l’altoforno 1 è ancora fermo da agosto e il 4 è in marcia ridotta? Non ci sembra questo l’atteggiamento di chi vuole restare, di chi vuole salvaguardare l’ex Ilva, i lavoratori e l’ambiente”, prosegue. “I ministri ci hanno assicurato che indietro non si torna. Quello che serve agli stabilimenti è un intervento urgente: servono al più presto i 320 milioni di euro per la gestione corrente, per la messa in sicurezza degli impianti e di tutti i lavoratori”.

Fim, Fiom e Uilm chiedono a Mittal di assumersi subito le proprie responsabilità per quanto riguarda il mancato pagamento delle fatture per le aziende dell’indotto: “Arcelor Mittal è l’unico responsabile che deve necessariamente garantire il regolare pagamento delle fatture propedeutiche alle attività di manutenzione e di minuto mantenimento ed evitare che lo stabilimento possa fermarsi e creare problemi sia di tipo ambientale che sociale”. Al tavolo ministeriale di confronto previsto per mercoledì al Mimit i sindacati ribadiranno la necessità di trovare soluzioni per i lavoratori, “mettendo in sicurezza anche il sistema degli appalti”.

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