Adesso che la loro estromissione dall’Ilva è ormai a un passo, ArcelorMittal sostiene di essere pronta a cedere praticamente su tutto. Dice sì a ogni richiesta del governo, purché non venga attivata l’amministrazione straordinaria che vorrebbe dire una sostanziale cacciata dalla società che gestisce le acciaierie di Taranto. Il cedimento – da capire quanto reale e quanto una nuova tattica per prendere tempo – è cristallizzato in una lettera inviata da Aditya Mittal, amministratore delegato del colosso dell’acciaio, alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano per “riaprire il dialogo sul dossier”.

Il gruppo franco-indiano e Invitalia, soci di Acciaierie d’Italia che gestisce gli impianti jonici, sono ai ferri corti da mesi. Nel mezzo di questa settimana, dopo i ripetuti no al rifinanziamento della società, la situazione è definitivamente precipitata. Mittal ha attivato una richiesta di composizione negoziale della crisi, mentre la società pubblica controllata dal Mef ha chiesto all’ad di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, di dare il via all’iter per l’attivazione dell’amministrazione straordinaria. Se la manager non risponderà, Invitalia potrà chiedere direttamente al ministero delle Imprese di procedere. Tutto verrà deciso entro il 31 gennaio e il governo, attraverso un decreto, ha già predisposto una garanzia di liquidità corrente con un prestito ponte per 320 milioni.

Da qui la mossa della famiglia indiana che controlla il colosso della siderurgia mondiale: se la preferenza “è che ArcelorMittal non esca subito, anche questo può essere realizzato”, scrive Mittal a Meloni. “Siamo disponibili a rimanere come partner strategico di minoranza che fornisca esperienza tecnica e industriale per la joint venture con Invitalia mentre il governo decide una soluzione permanente per questo asset strategico di interesse nazionale”, si legge nella lettera.

Nella missiva Mittal conferma la posizione della multinazionale: “Accettiamo – viene ribadito – di essere diluiti al rango di azionisti di minoranza (e perdere il controllo congiunto e qualunque potere di veto o casting vote, ovvero voto decisivo) attraverso la conversione dei finanziamenti soci e un’iniezione di capitale da parte di Invitalia e, ciononostante, al fine di eliminare ex ante qualunque preoccupazione in materia di aiuti di Stato, ArcelorMittal è altresì disponibile a contribuire in Acciaierie d’Italia Holding esattamente un terzo del contributo pubblico finalizzato all’acquisto dei rami”.

Sul piatto, infatti, c’è anche l’acquisto degli asset da Ilva in as, così da tornare bancabili e poter ottenere credito dagli istituti per superare la crisi finanziaria. Inoltre, scrive ancora Aditya Mittal, “confermo che siamo disponibili a vendere la nostra partecipazione azionaria a un investitore che il governo dovesse indicare a un prezzo almeno pari a tale nostro ultimo contributo”. E l’amministratore delegato fa capire che l’attivismo non è finito: “Invieremo all’ufficio del sottosegretario Mantovano un ‘term sheet’ che dettaglia questa posizione. Confidiamo – conclude Mittal rivolgendosi alla premier Meloni – che questa lettere convinca il suo governo che azioni unilaterali ed estreme sono sia indesiderabili sia superflue alla luce della proposta concreta e specifica che abbiamo presentato, e restiamo in attesa di essere contattati dal suo ufficio o dai suoi rappresentanti sui prossimi passi. Rimango personalmente disponibile a incontrarla quando le sarà possibile per finalizzare le nostre interlocuzioni”.

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