Una “mala gestio” per incassare “proventi illeciti truffaldini a beneficio di se stessa, della sua famiglia, dei suoi amici e del partito”. Sono giudizi pesanti quelli messi nero su bianco su Lara Comi da parte dei giudici di Milano. Il tribunale ha depositato le motivazioni della sentenza con cui, lo scorso ottobre, ha condannato l’eurodeputata di Forza Italia a 4 anni e 2 mesi di reclusione. Secondo i giudici tutto “il percorso europeo” di Comi “è stato caratterizzato, sin dall’inizio, da una gestione illecita del regime delle erogazioni da parte del Parlamento e da palese e consapevole violazione di tutte le regole scritte”. Nonostante tutto, però, la politica è ancora europarlamentare e questo, secondo i giudici, equivale a “un altissimo rischio di reiterazione di fatti analoghi”.

Il processo Mensa dei poveri – Comi è tra i circa sessanta imputati nel processo Mensa dei Poveri: è accusata di corruzione e false fatturazioni in merito a corsi di Afol, agenzia per la formazione, orientamento e lavoro, e di truffa ai danni dell’Europarlamento per la vicenda dei contratti di assunzione di suoi collaboratori. Il collegio ha assolto, tra gli altri, l’ex vice coordinatore lombardo di Forza Italia ed ex consigliere comunale milanese Pietro Tatarella, l’ex consigliere regionale lombardo Fabio Altitonante, il patron della catena dei supermercati Tigros, Paolo Orrigoni, la stessa società e Mauro De Cillis, ex responsabile operativo di Amsa. Condannato a 6 anni e mezzo l’imprenditore Daniele D’Alfonso.

Le motivazioni – Una sentenza motivata con oltre 650 pagine, depositate oggi. I giudici sottolineano come Comi “dal novembre 2022 è ritornata ad essere parlamentare Europeo e lo è tuttora nonostante la mala gestio che gli atti hanno messo in evidenza e senza aver restituito nulla”. Non solo. Il Tribunale evidenzia un “altissimo rischio di reiterazione di fatti analoghi“, in base ad “un fil rouge che ha caratterizzato tutto il percorso europeo”.

L’indagine – Nel novembre del 2019 Comi era finita agli arresti domiciliari, poi revocati. Per i giudici, l’esponente di Forza Italia ha commesso i reati contestati “a distanza di quasi un anno l’uno dall’altro”: ciò è “espressione – prosegue la sesta sezione penale – di un medesimo disegno criminoso, potendosi tratteggiare un fine specifico illecito immanente (…) volto a ricavare dalle casse del Parlamento Europeo proventi illeciti truffaldini a beneficio di se stessa, della sua famiglia, dei suoi amici e del partito”.

La replica – “Ritengo che la sentenza sia ingiusta e contraddittoria”, replica Comi. “L’affermazione di responsabilità si fonda solo su elementi indizianti opinabili”, aggiunge. Cosa che sarà “dimostrata nell’atto di appello che il mio difensore, Gian Piero Biancolella, presenterà. Quel che più mi colpisce – prosegue – è la violazione, in mio danno, della presunzione di innocenza, in quanto si ipotizza che potrei, come parlamentare eletto direttamente dai cittadini, commettere altri reati in danno del Parlamento Europeo, istituzione che ho sempre servito con dedizione e passione nell’interesse dei cittadini”.

L’appello – Oltre a quella dell’eurodeputata, si attende anche l’impugnazione della sentenza da parte della Procura di Milano per alcune assoluzioni, come quella di Tatarella. Per il Tribunale le somme o le utilità ricevute da D’Alfonso non rientrano nel perimetro della corruzione, ma sono il “compenso per una effettiva attività di consulenza”. Inoltre, nel corso del dibattimento, scrive il Tribunale, “non è stata raggiunta la prova della finalità della dazione per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio e per asservire la funzione agli interessi imprenditoriali e privatistici”.

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