Il Tar del Lazio boccia il Ministero e annulla i provvedimenti che hanno disciplinato le prove di ammissione alla Facoltà di Medicina per l’anno accademico 2023/2024. Per i giudici amministrativi, chiamati a pronunciarsi sugli oltre 3mila ricorsi dei candidati che non avevano superato il test, quelle “prove” sottoposte ai candidati “non erano omogenee quanto a difficoltà complessiva”. Il provvedimento, che ha annullato bando e graduatoria 2023, salva però le posizioni di chi ha superato le prove e si è già iscritto ai corsi e allo stesso tempo nega la possibilità agli altri candidati di potersi immatricolare in sovrannumero. Decisione, quest’ultima, contestata dai ricorrenti che hanno già annunciato di rivolgersi al Consiglio di Stato.

Lo scorso anno, per la prima volta, avevano debuttato i Tolc med, introdotti dalla ministra dell’Istruzione Maria Cristina Messa, con il governo Draghi. Nel 2023, il test durava 90 minuti ed era composto da 50 domande, 7 quiz di comprensione del testo, competenze acquisite negli studi (15 minuti); 15 quiz di biologia (25 minuti); 15 quiz di chimica e fisica (15 minuti); 13 quiz di matematica e ragionamento (25 minuti). Per i giudici amministrativi, però, la diversa difficoltà dei 1.700 quesiti estratti a sorte non è stata bilanciata adeguatamente.

Il Tar non contesta “la possibilità di limitare l’accesso agli studi superiori per il perseguimento di finalità legittime di interesse generale”, ma fa presente che non può “superare il vaglio di legittimità” un sistema “che non consenta la selezione degli aspiranti secondo criteri di merito e di capacità“, ancor di più, trattandosi nel caso specifico d’individuare le risorse umane da destinare al settore sanitario. I giudici amministrativi hanno ritenuto che il meccanismo introdotto dal Ministero non soddisfi le esigenze previste “presentando elementi di alea che, da un lato, non sono giustificati da esigenze oggettive della selezione e, dall’altro, non consentono un ordinamento degli aspiranti sulla base della sola performance, essendo la relativa posizione influenzata, in maniera anche significativa e determinante l’accesso ai corsi di laurea, dall’attribuzione di un fattore di parametrazione del punteggio che limita, in modo per ciascuno diverso, il punteggio massimo raggiungibile e che mina, pertanto, la par condicio tra i candidati”.

Pertanto, secondo i giudici, il meccanismo scelto “evidenzia un aspetto che, alla luce delle risultanze agli atti, appare incontestabile“. E cioè che “le prove somministrate ai candidati non erano omogenee quanto a difficoltà complessiva individuata attraverso il coefficiente di equalizzazione” e che “le prove non possano essere omogenee sulla base del punteggio equalizzato è, d’altra parte, implicito nelle premesse di funzionamento del sistema”. Una “disomogeneità” che per il Tar influenza “l’accesso o l’esclusione dai corsi”. Quindi “un sistema siffatto non è idoneo ad assicurare la selezione dei candidati più meritevoli e non può, pertanto, superare il vaglio di legittimità”.

Nella pratica però non cambia nulla per chi ha superato il test e per chi, invece, è stato escluso. Per questo l’avvocato Francesco Leone, dello studio legale Leone-Fell, che rappresenta gli oltre 3 mila ricorrenti, annuncia la presentazione di un ricorso al Consiglio di Stato contro la parte del provvedimento del tar del Lazio sui test di Medicina che non ha ritenuto che i candidati possano immatricolarsi in sovrannumero. “I giudici amministrativi avevano due opzioni: annullare tutto e far rifare le prove o consentire che i ricorrenti si immatricolassero in soprannumero. Una terza possibilità non è data“, sottolinea Leone a LaPresse. La logica di fondo è che “si presenta un ricorso contro qualcosa per trarne un vantaggio”, un beneficio. “In questo caso invece viene riconosciuto solo che avevano ragione i candidati esclusi – afferma – Come dire che se si fa ricorso per una multa, il giudice di pace riconosce le ragioni del ricorrente, ma gli dice che deve comunque pagare”.

In una nota l’Unione degli universitari (Udu) fa sapere che “la disposizione del tribunale non basta: serve un superamento strutturale del sistema dei numeri programmati”. Per l’Udu “nonostante il Tar abbia correttamente rilevato tali aspetti di illegittimità la soluzione che ha messo in campo rischia di creare disparità ed ingiustizia ancora peggiori”. Per questo l’Unione degli universitari chiede al Ministero di mettere in campo “un sistema di libero accesso” superando il numero chiuso.

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