“Un ruolo più significativo di Sicilia e Calabria nel progetto Ponte sullo Stretto”. Lo aveva chiesto già nel 1985 l’allora governatore democristiano siciliano Rino Nicolosi a un senatore Dc, partito di maggioranza del governo guidato da Craxi. Da tanti anni la chimera del collegamento tra le due sponde dell’Italia è al centro del dibattito politico e sociale del nostro paese. Rispolverato dal ministro leghista Matteo Salvini, che oggi ne fa il suo baluardo nella quotidiana propaganda politica, anche quarant’anni fa quello del ponte era uno degli argomenti caldi tra i banchi di Camera e Senato.

In una lettera indirizzata al senatore democristiano Vincenzo Rosario Carollo, con un passato da governatore, deputato e assessore regionale, Nicolosi lo informa che il 17 dicembre 1985 c’era stato “un incontro con i rappresentati regionali calabresi” per un “esame congiunto delle problematiche connesse alla realizzazione di un collegamento stabile tra Sicilia e il continente”. Nel carteggio tra governatore e senatore, ritrovato nell’archivio personale di Carollo dal ricercatore e biografo Giuseppe Spallino, emerge l’interesse di una partecipazione attiva della regione, nei confronti di un progetto che sembra calato dall’alto.

Era da poco nata la società “Stretto di Messina Spa”, creata nel 1981 come concessionaria di Stato, con azionista di maggioranza l’Istituto per la Ricostruzione Industriale al 51%, e la partecipazione di Anas, Ferrovie dello Stato e della Sicilia e Calabria. Aveva un capitale iniziale di 900 milioni di lire, portato nel 1982 a 20 miliardi. Il premier dell’epoca, il socialista Bettino Craxi, si era pronunciato a favore della rapida realizzazione del ponte, e già a fine 1985 la società Stretto di Messina aveva definito una convenzione con Anas e Fs.

Sei mesi dopo, la Stretto di Messina aveva reso pubblico un nuovo studio che confrontava tre tipologie di soluzioni possibili per la realizzazione del ponte. Quella “subalvee”, con due gallerie viarie e una ferroviaria a due binari scavate sotto i fondali marini, con la previsione di completare l’opera in 17 anni. La versione “alvee” che prevedeva una galleria immessa in acqua, che sarebbe stata completata in 11 anni, e infine la soluzione “aeree”, con un ponte sospeso a campata unica da completare in circa 8 anni. Quest’ultimo progetto era ritenuto quello tecnicamente più realizzabile ed economicamente conveniente. Anche l’allora presidente dell’Iri, Romano Prodi considerava l’opera una priorità e prevedeva addirittura il termine dei lavori fissato al 1996.

All’incontro di cui parla Nicolosi nella sua lettera, partecipano “le forze politiche locali, i rappresentanti della società Stretto di Messina, e gli esperti e tecnici”, e il governatore segnala al senatore Corallo “l’esigenza di integrare opportunamente l’iniziativa legislativa” del parlamento in relazione al disegno di legge 1216, in “modo che il ruolo delle due regioni più direttamente interessate, Sicilia e Calabria, diventi più significativo”.

Il ddl a cui si riferisce Nicolosi, era stato proposto dall’allora ministro dei trasporti Claudio Signorile, nel gennaio 1984, per garantire alla società Stretto di Messina, dopo l’approvazione del progetto di massima, 220 miliardi per elaborare il progetto esecutivo, consentendo alla presidenza del Consiglio di poter l’accelerazione l’iter burocratico. Con la stessa lettera, Nicolosi forniva al senatore Carollo due “emendamenti al disegno di legge” in questione, proprio per rendere più attivo il ruolo delle due regioni. I termini e gli obiettivi della 1216, vennero approfonditi dalle commissioni lavori pubblici e trasporti con diverse audizioni, ma il dibattito in aula naufraga, come il progetto per il ponte, visto che il governo “pentapartito” di Craxi si interrompe bruscamente nell’aprile 1987, con il rimpasto affidato al democristiano Amintore Fanfani e le successive elezioni nell’estate dello stesso anno.

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