Cambiare il calcio. Più facile a dirsi che a farsi. Infatti finora non si è fatto nulla. Gabriele Gravina è a capo della Figc da oltre 5 anni, si è fatto eleggere due volte promettendo rivoluzioni di cui non si è vista neanche l’ombra. Adesso che il suo secondo mandato volge al termine, con il terzo già nel mirino, un po’ per rispondere alla crisi di un movimento alla canna del gas, un po’ perché se non ora quando, la FederCalcio proverà davvero a fare la famosa riforma dei campionati: meno società professionistiche e retrocessioni, più controlli finanziari, una Serie A che, nei piani della Federazione ma non certo della Lega Calcio, dovrebbe scendere nei prossimi anni a 18 squadre, e contare di più politicamente.

L’11 MARZO L’ASSEMBLEA PER TOGLIERE IL DIRITTO DI VETO – Fin qui tutto è stato bloccato dai campanilismi: ognuno pensa al suo orticello, nessuno ha una visione comune. Per una riforma del genere serve l’intesa fra le Leghe: ogni componente, in poche parole, ha il diritto di veto. E siccome è impossibile mettere d’accordo tutti, non si è mai fatto nulla. Infatti sarà questa la mossa del presidente Gravina: convocare l’11 marzo un’assemblea straordinaria per rimuovere il diritto d’intesa e sbloccare la situazione. Può farlo, gli serve la maggioranza in assemblea (che però controlla agevolmente) e con i voti dei Dilettanti, ad esempio, potrà togliere il veto alla Serie A. L’appuntamento dell’11 marzo sarà preceduto da una serie di tavoli tecnici, tutti i giovedì a partire dal 18 gennaio, ma già in settimana ci sarà un primo incontro riservato in cui cominciare a mettere le carte sul tavolo. In caso di mancato accordo, Gravina è intenzionato a tirare dritto per la sua strada.

IN SERIE A SOLO 18 SQUADRE: L’IDEA CHE PIACE ALLE BIG – A quanto risulta al Fatto, la riforma prevede innanzitutto un taglio del numero di club professionistici: 90 sono troppi coi tempi di crisi che corrono, su questo non ci piove. Si passerà a 60, massimo 70. Il punto è come distribuirli. “Non sarà una riforma aritmetica, che inciderà sic e simpliciter sul numero delle squadre, è un tema che non mi affascina”, ha dichiarato di recente Gravina. Ma in realtà il punto è tutto lì: quante squadre ci saranno e soprattutto quante in Serie A, perché qualsiasi riforma dei campionati che non interessasse la massima serie non sarebbe credibile. La formula a 20 è un tabù, la Lega Calcio non ne vuole sapere di scendere, per non perdere i ricavi dei diritti tv (sarebbero 38 partite in meno all’anno da vendere ai broadcaster) e non cedere terreno ai competitor stranieri (tutti a 20, tranne la Bundesliga). Ma i club sono tutt’altro che uniti, le big cominciano a convincersi della necessità del taglio, non solo Juve, Inter, Milan, il Napoli di De Laurentiis, ma anche la Lazio di Lotito e la Fiorentina di Commisso sarebbero a favore; Gravina punta a spaccare la Serie A e far passare la sua linea. Anche perché il format a 20 rischia di diventare insostenibile, sia a livello di calendario (sempre più intasato con la nuova Super Champions, in attesa di capire le sorti della Superlega), sia economicamente; invece meno squadre significa meno teste fra cui spartire la torta, che sarà più piccola perché la Figc vuole aumentare la mutualità (oggi il 10% dei diritti tv, si parla di una 50ina di milioni in più) da destinare alle categorie minori.

MENO RETROCESSIONI: IL NUOVO FORMAT A REGIME DAL 2030 – In compenso ci saranno meno retrocessioni: quante è l’altro nodo da sciogliere. Due più una agli spareggi, o addirittura solo una diretta, più la seconda eventuale? D’accordo dare stabilità al sistema, ma quest’ultima ipotesi ucciderebbe la mobilità nel calcio italiano. Lo stesso meccanismo sarà replicato anche in Serie B, che a sua volta passerà a 18 squadre e vedrà diminuito il turnover fra i suoi club (oggi esagerato: ogni anno ne cambiano 7 su 20) come chiede da tempo. Il taglio maggiore sarà in Serie C, che dovrebbe passare al girone unico (oggi ce ne sono tre da 20). E qui finirà il professionismo. Perderà anche la Lega Dilettanti, che vedrà nascere una serie cuscinetto sopra di sé e soprattutto cederà peso politico (oggi conta il 33%, troppo) alla Serie A. Inevitabile una fase di transizione, il nuovo format potrebbe andare a regime nel 2030, anche per evitare problemi con i diritti tv già venduti con 20 squadre fino al 2029 (i contratti resterebbero validi anche con 18 squadre, ma col rischio poi di cause milionarie alla prima eventuale partita saltata, visto che è presente una clausola di annullamento a 17 squadre).

STADI E CONTRATTI DEI CALCIATORI PER UNA VERA RIFORMA – Ridurre il numero di società professionistiche per salvare la competitività è inevitabile. I tempi sono maturi anche perché stavolta Gravina avrà la copertura politica del ministro Abodi, che condivide l’esigenza di un intervento. È altrettanto evidente che la riforma resterà monca se non affronterà altri grandi temi, cruciali per il rilancio del calcio italiano: i contratti dei giocatori, che vanno completamente riscritti, con salary cap e clausole automatiche in caso di retrocessione (Gravina avrà il coraggio di scontentare l’Assocalciatori, che è sua grande alleata?). Gli stadi, per cui serve inventarsi qualcosa per dare regole chiare d’ingaggio (che non vuol dire favorire la speculazione edilizia) e risorse accessibili (su cui la Federazione in realtà da sola può fare poco, ma serve comunque un impulso dalle istituzioni). Poi questa è solo l’impalcatura, le regole del gioco. Per cambiare davvero il calcio italiano, bisognerà cambiare anche i suoi presidenti.

Twitter: @lVendemiale

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