I mutamenti demografici previsti nei prossimi decenni avranno effetti dirompenti sul nostro sistema di welfare. Per la sanità le conseguenze sulla distribuzione delle risorse non saranno uguali per tutte le regioni: il Nord guadagna a scapito del Sud.

di Roberto Fantozzi, Stefania Gabriele e Alberto Zanardi * (Fonte: lavoce.info)

Le conseguenze dei cambiamenti demografici

A meno di cambiamenti di rotta radicali, i drammatici mutamenti demografici previsti in Italia per i prossimi decenni avranno effetti dirompenti su tutti gli ambiti del nostro sistema di welfare, dalle pensioni all’istruzione, all’assistenza e naturalmente alla sanità. L’inverno demografico che investirà il nostro paese, fatto di progressivo spopolamento e di mutamenti profondi nella struttura della popolazione per età, non solo inciderà, come già ampiamente discusso da tanti contributi, sulle necessità di finanziamento e sulle modalità organizzative complessive della sanità pubblica ma, poiché differenziato tra territori, comporterà anche variazioni significative nella ripartizione delle risorse corrispondenti tra regioni.

In un recente contributo abbiamo cercato di valutare come nei prossimi sessant’anni la diversa intensità con cui la demografia (caduta della popolazione, invecchiamento, flussi migratori interni e internazionali) evolverà nei diversi territori potrà modificare la distribuzione regionale delle risorse per la sanità pubblica.

La perdita di popolazione e l’assegnazione di risorse per la sanità

L’assegnazione alle regioni dei finanziamenti del Servizio sanitario nazionale è basata, per gran parte degli ambiti di assistenza, sul riconoscimento di un ammontare pro-capite uguale per tutti i cittadini (quota capitaria secca, che si applica a circa il 60 per cento delle risorse totali), mentre per l’assistenza specialistica e ospedaliera si fa riferimento a un ammontare pro-capite differenziato per età (quota capitaria pesata, a cui corrisponde circa il 40 per cento dei fondi complessivi), con pesi che riflettono i consumi sanitari per ciascun gruppo di età: più elevati per i giovanissimi e per gli anziani, più bassi per le classi centrali (qui non si tiene conto, per la difficoltà a stimarne l’evoluzione futura, della percentuale minoritaria dell’1,5 per cento del riparto basata su indicatori di deprivazione che verrà applicata a partire dal 2023). L’ammontare delle risorse sanitarie pubbliche che vengono attribuite ogni anno a ciascuna regione dipenderà quindi, da un lato, dalla popolazione residente regionale totale (effetto popolazione) e, dall’altro, dalla sua struttura per età rispetto alla media nazionale (effetto età: più alta è l’incidenza dei giovanissimi e degli anziani, maggiore sarà, a parità di altri elementi, la quota di risorse assegnata a quella regione).

Secondo le previsioni demografiche dell’Istat (scenario mediano), già nel prossimo decennio la popolazione italiana si ridurrà di 1,2 milioni di individui, per poi continuare a scendere nei decenni successivi a ritmi sempre più veloci (meno 3,5 milioni nel 2032-2050, e meno altri 8,3 milioni nel 2050-2079). Tra il 2022 e il 2080 la popolazione italiana perderà ben 13 milioni di residenti. Il calo demografico investirà tutti i territori, ma con differenze molto marcate tra macro-aree: la popolazione del Sud crollerà di circa il 40 per cento, cioè molto di più rispetto alla caduta del 20,4 per cento nel Centro e del 9,8 per cento nel Nord. Le differenti dinamiche riflettono tassi di natalità più bassi e saldi migratori sfavorevoli al Sud rispetto al Nord, mentre il Centro si muoverà grosso modo in linea con la media nazionale.

Durante i sessanta anni sotto osservazione cambierà anche la composizione demografica per età, con un significativo invecchiamento della popolazione nazionale: la quota degli anziani tra 65 e 74 anni e quella dei 75enni e oltre aumenteranno rispettivamente dell’1,3 per cento e dell’8,9 per cento contro variazioni negative, o sostanzialmente nulle, delle altre fasce. Ma, anche qui, la ricomposizione verso le classi più elevate di età sarà più marcata nel Mezzogiorno: in particolare, la popolazione con più di 75 anni segnerà al Sud un incremento del 12,6 per cento, superiore di circa 6 punti percentuali rispetto al Nord e di 3,7 punti rispetto al Centro.

Le differenze tra regioni nell’evoluzione futura sia della numerosità dei residenti sia nella struttura per età si riflettono sulle variazioni previste nell’assegnazione effettiva delle risorse sanitarie.

La figura 1 illustra le variazioni per il decennio 2023-2033 sotto l’assunzione che i criteri distributivi restino invariati: il Nord guadagna 0,9 punti percentuali del finanziamento complessivo a scapito del Sud. Gran parte della riallocazione complessiva è da attribuire all’effetto popolazione: la contrazione della popolazione, più accentuata al Sud, lo penalizza nel riparto delle risorse sanitarie per 1,2 punti percentuali a favore del Centro (+0,1 punti percentuali) e soprattutto del Nord (+1,1 punti percentuali). Questo impatto è in parte compensato dall’effetto età: come riflesso di una dinamica dell’invecchiamento più pronunciata nel Mezzogiorno rispetto al Nord, e quindi con bisogni sanitari pro capite che crescono di più rispetto al dato nazionale, il Sud finisce per recuperare 0,3 punti percentuali nel riparto delle risorse.

Figura 1 – Variazione del riparto regionale delle risorse sanitarie in coerenza con le proiezioni demografiche (punti percentuali, riparto 2033 rispetto a riparto 2023)
Fonte: nostre elaborazioni su proiezione demografiche Istat.

Se poi l’orizzonte si allunga al 2080, l’impatto dei diversi fattori demografici si accentua notevolmente (figura 2): rispetto al 2023 il Nord guadagna 6,7 punti percentuali del finanziamento, il Centro registra una sostanziale stabilità (+0,3 punti percentuali), mentre il Mezzogiorno segna una forte riduzione delle risorse di 7 punti percentuali. Anche nel lungo termine l’effetto popolazione favorisce grandemente il Nord, mentre l’effetto età mitiga, ma in misura assai parziale, la redistribuzione a sfavore del Sud. Su base regionale, la Lombardia incrementa le risorse di 3,6 punti percentuali soprattutto per l’effetto previsto di aumento della popolazione residente, seguita dall’Emilia-Romagna (+1,5). Si confermano perdite limitate in Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria e Marche, mentre la riduzione delle risorse si accentua in tutte le regioni del Mezzogiorno e in particolare in Sicilia e Campania (rispettivamente -1,7 e -1,6 punti).

Figura 2 – Variazione del riparto regionale delle risorse sanitarie in coerenza con le proiezioni demografiche (punti percentuali, riparto 2080 rispetto a riparto 2023)
Fonte: nostre elaborazioni su proiezione demografiche Istat.

Questi effetti sul finanziamento della sanità tra le diverse regioni potranno essere in qualche misura ridimensionati nel futuro dalle politiche che i governi decideranno di mettere in campo: da un lato, interventi per contrastare la caduta demografica del paese (non ultime, le politiche migratorie) che rafforzino le prospettive di sostenibilità del sistema di welfare in generale; dall’altro, programmi per il riequilibrio territoriale, quali interventi di rilancio dell’economia meridionale e in particolare delle aree interne a forte rischio di spopolamento, che possano, tra l’altro, contribuire a mitigare le riallocazioni di risorse pubbliche qui discusse.

* Le opinioni espresse in questo lavoro sono proprie degli autori e non necessariamente riflettono quelle delle istituzioni di appartenenza.

Articolo Precedente

Piccoli imprenditori, ripassate la matematica statistica prima di fare il budget

next
Articolo Successivo

La Cina verso la ‘giapponizzazione’? Con la stretta sul credito, le multinazionali fuggono

next