Gianluca Vialli manca ai suoi familiari, ai tifosi e al calcio italiano e mondiale da un anno. Non è una frase di circostanza perché a voler essere realisti, c’è chi manca un po’ più degli altri. Così come c’è chi fa percepire la sua presenza, in vita, più di altri. Chiamatelo carisma, ego, personalità, insomma è quel modo di stare al mondo che solo poche persone hanno. In maniera innata sia chiaro. Nulla di studiato, anzi, chi cerca di costruirsi quell’aura, lo fa sempre in maniera sfocata e poco brillante.

Vialli era molto più di un calciatore quando era calciatore, è stato molto più che un allenatore nella breve (e vincente) parentesi in panchina, e non mi riferisco banalmente al doppio ruolo di allenatore-giocatore avuto nel Chelsea. Non ha perso la dimensione del campione neppure dopo aver appeso le scarpe al chiodo. Corteggiato da emittenti televisive, dirigenti, ex presidenti e tifoserie.

Non è destino di molti riuscire a restare sulla cresta dell’onda, senza gli scarpini ai piedi, o senza una panchina, magari prestigiosa, sotto il sedere. Vialli era rimasto un capitano ma solo perché l’ex giocatore ha coltivato soprattutto l’uomo. Proteggendo la sua privacy, centellinando gli impegni mondani e mediatici. Quando c’era non era mai banale, per questo era speciale. Nel mio piccolo, ho avuto conferma di tutto questo personalmente, alla vigilia di Italia-Armenia (finita 9-1 per noi), partita valida per la Qualificazione agli Europei del 2020, manifestazione che avremmo vinto nel 2021.

Nella sede dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, ad uno dei corsi che periodicamente siamo obbligati a frequentare, tra i relatori c’erano Paolo Rossi e appunto Vialli, nominato pochi giorni prima capo delegazione della Nazionale Italiana. Questa nomina aveva reso possibile la riunione dei gemelli, Mancini e Vialli, di nuovo insieme per la causa azzurra. Ricordiamo tutti come andò a finire: l’abbraccio con le lacrime dei due che, dopo l’ultimo rigore, ci regalavano il secondo titolo europeo. Una gioia che leniva la pesantezza di quel periodo, indimenticabile. Come fu indimenticabile quella mattinata con Rossi, anche lui compianto, e Vialli a raccontarsi a pochi metri da me.

Da suo fan avevo appena letto Goals – 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili il libro in cui aveva raccolto 98 storie sportive più la sua, autobiografica. Motivazione, meditazione e accettazione di ciò che la vita possa riservare. Nessuna rassegnazione ma consapevolezza nel dover dare tutto, finché ci è concesso. Il messaggio del Vialli spirituale, pronto a restituire agli altri, quasi un maestro di vita oltre che di calcio, è arrivato forte ai giocatori azzurri in quella stagione perfetta e anche a me quella mattina. Avevo con me la copia del libro, ho cercato di raggiungerlo tra la folla che premeva per chiedergli una foto ricordo, un selfie, stringergli la mano. Non è stato come le altre volte, quel carisma mi è piombato addosso con la fragile potenza che la malattia gli aveva consegnato. Dignità e fierezza nell’affrontare un nemico tremendo.

Quando l’ho raggiunto ho avuto davanti tutto questo, timidamente e con un filo di voce l’ho istintivamente chiamato “Signor Vialli” per chiedergli l’autografo sulla copia del libro e una foto che conservo gelosamente. Veramente un gran signore, Gianluca Vialli.

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