Non sappiamo se le presidenziali 2024 riproporranno la stessa sfida di quelle del 2020. Al momento Joe Biden e Donald Trump sembrano le scelte più probabili, per democratici e repubblicani. Probabili, ma non certe. Questioni diverse potrebbero infatti sbarrare la strada a uno dei due candidati, o a tutti e due. Per Biden ci sono il fattore età e gli indici di popolarità non esattamente esaltanti. Per Trump l’ostacolo viene dai quattro processi in cui è coinvolto e da una serie di sentenze che già da ora ne mettono in discussione la possibilità legale di presentarsi. A parte la sfida elettorale, il 2024 si presenta per l’America come un anno comunque decisivo, in cui verrà messa alla prova la solidità delle sue istituzioni e il suo ruolo nel mondo. Al momento l’orizzonte, per la potenza americana, non sembra particolarmente roseo. Ecco alcune di queste sfide.

ECONOMIA – “It’s the economy, stupid” è lo slogan, coniato da James Carville, che segnò la vittoriosa campagna elettorale di Bill Clinton contro George H. W. Bush nel 1992. L’economia resta oggi la principale preoccupazione degli americani e svolgerà un ruolo centrale anche durante le presidenziali 2024. I segnali sono da questo punto di vista contrastanti. Le devastazioni provocate dalla pandemia sono state ampiamente superate – grazie anche a un potente intervento del governo federale nei settori dell’economia. Nonostante il recente rallentamento nella creazione di nuovi posti di lavoro, la disoccupazione è sotto il 4 per cento. L’inflazione è sotto controllo. L’indice Dow Jones continua a salire, stimolato dalla prospettiva di un taglio ai tassi di interesse da parte della FED. I tagli ai tassi potrebbero condurre a un’esplosione di investimenti e spesa da parte di imprese e consumatori. Eppure non tutti scommettono su prospettive così radiose. Molte previsioni segnalano piuttosto un rallentamento dell’economia e una crescita inferiore a quella del 2023. La Federal Reserve di New York ha calcolato che la possibilità di una nuova recessione si colloca attorno al 52 per cento, ed è quindi piuttosto alta. La preoccupazione per il costo della vita è un leitmotiv presente in tutti i sondaggi d’opinione. I costi per casa e generi alimentari pesano in modo significativo sulla vita delle famiglie. Tagli a sanità e spesa sociale sono un’eventualità da considerare, soprattutto nel caso in cui un repubblicano arrivi alla Casa Bianca. Per l’economia USA, la prospettiva migliore è oggi quella di un “soft landing”, di un atterraggio morbido, di una fase di crescita a ritmi più contenuti rispetto al passato. Niente di esaltante. Niente che riesca a ridare fiducia, a sconfiggere il clima di incertezza che oggi domina la società americana.

POLITICA INTERNAZIONALE – Incertezza è la parola chiave che definisce anche l’attuale strategia internazionale degli Stati Uniti. Le guerre a Gaza e in Ucraina non stanno andando nella direzione sperata a Washington. Nel conflitto tra Israele e Hamas, la strategia scelta dall’amministrazione è apparsa ondivaga, in certi casi disastrosa. Biden, il presidente più filoisraeliano dai tempi di Bill Clinton, ha dato mano libera al governo di Benjamin Netanyahu nell’operazione militare a Gaza, pensando di poterla comunque controllare attraverso contatti diretti e privati con la leadership israeliana. La scelta si è rivelata un clamoroso errore. Il governo israeliano, in risposta al massacro di Hamas del 7 ottobre, ha scatenato un’offensiva devastante. I ripetuti inviti alla moderazione da parte del governo statunitense sono rimasti inascoltati a Gerusalemme. Ora Biden si trova con un’opinione pubblica interna spaccata e delusa. Per buona parte del mondo democratico e progressista (soprattutto i più giovani e vasti settori di elettorato non bianco), il sostegno a Israele è stato eccessivo e alla fine irresponsabile, e ha condotto al massacro di migliaia di civili palestinesi. Biden è però anche criticato, a destra, per non aver saputo dare a Israele il sostegno dovuto nel momento più drammatico per la vita dello Stato ebraico. Non va meglio, per il presidente USA, nell’altra guerra, quella in Ucraina. La controffensiva di Kiev non è stata un successo. Russia e Ucraina non sono al momento disponibili per un compromesso e il conflitto minaccia di protrarsi, a intensità variabile, ancora per molti mesi. Nel frattempo, Biden è vittima del ricatto dei repubblicani, che non approvano i finanziamenti per l’Ucraina se non verranno potenziati i fondi per il confine meridionale. Di più, il presidente deve affrontare l’ormai crescente insofferenza della sua opinione pubblica, e in generale delle opinioni pubbliche occidentali, nei confronti di nuovi trasferimenti di armi a Kiev. Se la strategia americana nei due conflitti appare segnata da molte difficoltà, resta sullo sfondo, irrisolta, la questione Cina. Negli ultimi tre anni i rapporti con Pechino si sono fatti particolarmente tesi. Il recente incontro di Biden con Xi Jinping, come pure le visite in Cina di esponenti di primo piano dell’amministrazione quali Janet Yellen e Antony Blinken, hanno riaperto alcuni canali di comunicazione, ma le tensioni restano, soprattutto in tema di high tech e status di Taiwan. Non è per esempio chiaro come gli Stati Uniti potrebbero reagire di fronte a un attacco militare cinese all’isola. Questo quadro di instabilità potrebbe aggravarsi ulteriormente nel 2024, nel caso in cui Trump dovesse vincere le elezioni. La stessa appartenenza degli Stati Uniti alla NATO verrebbe messa seriamente in discussione. Il risultato di questo complesso di crisi, conflitti, errori di strategia, incognite, è comunque soprattutto uno. Gli Stati Uniti hanno sempre più difficoltà a mantenere il ruolo di leadership globale svolto a partire dal secondo conflitto mondiale. Il voto di qualche settimana fa all’ONU, quando 153 Paesi hanno votato per il cessate il fuoco a Gaza, è la prova tangibile dell’isolamento americano e della sua incapacità di gestire crisi globali. L’America “beacon of the world”, l’America faro di democrazia e guida del mondo, secondo la definizione di Biden, è un concetto sempre più vago e anacronistico.

DIRITTI – Qui il quadro appare in movimento. Meglio, in continuo sommovimento. Diritti sociali e civili sono messi costantemente in discussione, difesi o negati, a seconda delle aree geografiche del Paese. Il 2024 è iniziato con una nuova legge entrata in vigore in Texas, che proibisce a college e università, finanziate con i soldi pubblici, di adottare programmi che favoriscano inclusione e diversità. Una legge simile è operativa in Florida dallo scorso maggio. Con il 1° gennaio, Louisiana e West Virginia hanno fissato restrizioni all’assistenza sanitaria per i minori in fase di transizione di genere. Sono almeno 20 gli Stati a guida repubblicana che hanno adottato misure di questo tipo. Dopo la cancellazione della Roe v. Wade, sono ora 14 gli Stati americani che mettono al bando l’aborto. Due – Georgia e South Carolina – proibiscono l’interruzione di gravidanza dopo le sei settimane. In altre zone i diritti riproduttivi vengono difesi. La California ha per esempio messo al riparo dai problemi legali i dottori che spediscono pillole contraccettive e farmaci per la transizione di genere a Stati dove queste procedure sono vietate. E in New Jersey, con il nuovo anno, le farmacie possono distribuire contraccettivi ormonali senza prescrizione medica. In generale, la questione aborto sarà centrale nella campagna elettorale di questi mesi, con i democratici che sperano di trasformare il voto in una sorta di referendum sui diritti delle donne. Notizie positive, per chi crede nel gun control, vengono dalla California, dove una corte federale ha stabilito la legalità di una legge che proibisce di portare armi in gran parte dei luoghi pubblici. Sono ora 19, più il District of Columbia, gli Stati che hanno adottato le cosiddette “red flag laws”, leggi che consentono la confisca di armi a individui considerati socialmente pericolosi. Continua anche lo scontro sui libri. Secondo PEN America, bandi e restrizioni alla lettura sono aumentati nell’ultimo anno del 33 per cento. Di qui la scelta dell’Illinois di approvare una legge che permette di stanziare fondi pubblici solo a quelle biblioteche che rispettano la Carta dei Diritti dell’American Library Association – e che quindi non censurano i libri. Luci e ombre anche in tema di diritto di voto. Durante il 2023, 14 Stati americani hanno adottato leggi che rendono più difficile votare. 23 Stati l’hanno invece reso più semplice. Gli effetti di queste misure si faranno sentire alle elezioni generali del prossimo 5 novembre. Buone notizie vengono dal fronte dei diritti sociali. Con il 1° gennaio, in 22 Stati e in 40 tra città e contee sono entrate in vigore le nuove norme sul salario minimo, fissato ormai nella gran parte dei casi a 15 dollari all’ora. In Alabama, le ore di straordinario saranno di fatto considerate esenti da tasse. E in California sarà più difficile licenziare. D’altra parte sono sempre di più gli Stati, l’ultimo è il Nebraska, che cancellano la possibilità di lavorare da remoto. Come sempre nella storia americana, quello dei diritti è un campo aperto dove vengono ridefiniti libertà, possibilità, futuro. È vero, comunque, che i segnali non sono particolarmente positivi. Sui prossimi mesi di campagna elettorale si allunga l’ombra della retorica “blood and soil”, sangue e terra, di Donald Trump, pronto a denunciare gli immigrati illegali come “un veleno per il sangue del nostro Paese”. E lo slogan della campagna di un altro candidato repubblicano, il governatore della Florida Ron DeSantis, è “Make America Florida”, rendi l’America un po’ più come la Florida. Il Sunshine State è dove in questi anni sono state prese le misure più repressive e regressive in tema di aborto, voto, inclusione, censura dei libri, diritti LBGTQ+, riconoscimento del passato razzista dell’America.

DEMOCRAZIA – È forse l’incognita più pesante e minacciosa sul 2024 americano. Le elezioni che prenderanno formalmente il via tra qualche giorno, il 15 gennaio, con i caucus dell’Iowa, promettono di essere le più drammatiche dell’intera storia americana. Non si tratta infatti più di programmi contrapposti. Non si tratta nemmeno di visioni contrapposte di America. Si tratta della messa in discussione del meccanismo che sta alla base di ogni democrazia, il voto. Si tratta, in altre parole, della sopravvivenza stessa dei principi e dei valori della Costituzione. Uno dei due candidati, Donald Trump, sta facendo e farà campagna elettorale ribadendo ancora una volta la tesi dei brogli del 2020. Sempre Trump ha promesso, in caso di vittoria, di operare ampie “purghe” nel governo federale e di voler agire da “dittatore”, almeno nel suo primo giorno di governo. Ancora Trump è rincorso da quattro processi che riguardano praticamente tutto – dall’aver gonfiato il valore del suo appartamento newyorkese all’aver fomentato una rivolta contro la Costituzione – e da una serie di sentenze che ne mettono in discussione la possibilità di candidarsi. Alla fine, sarà la Corte Suprema a dichiararsi. Quale che sia la sua decisione, fomenterà sicuramente nuovi sospetti e sussulti. Le vicissitudini giudiziarie trumpiane si inseriscono del resto in un contesto di profonda crisi istituzionale e politica. Il Congresso appare bloccato e incapace di legiferare. Tribunali e Corte Suprema ne fanno le veci ma sono anch’essi travolti da una profonda crisi di credibilità. Su tutto, domina un’atmosfera civile e sociale di continua contrapposizione, di spaccatura tra fazioni e parti del Paese in perenne conflitto, pronte a rinfacciarsi ogni tipo di torti, accuse, intenzioni eversive, pronte dunque a fare del 2024 l’ennesimo anno dello scontento americano.

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