Quelle intercettazioni non sono utilizzabili e quindi il rinvio a giudizio per corruzione e traffico di influenze dell’ex senatore Stefano Esposito è annullato. Illegittima anche l’acquisizione dei messaggi WhatsApp (come stabilito nella sentenza riguardante Matteo Renzi). Lo ha deciso la Corte costituzionale che ha accolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato contro la Procura di Torino, il Giudice per le indagini preliminari e il Giudice dell’udienza preliminare dello stesso Tribunale, in relazione alle intercettazioni che hanno coinvolto l’ex senatore del Partito democratico.

Il nodo intercettazioni – Come sottolinea la Consulta ” non spettava alle autorità giudiziarie che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio Stefano Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare, senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica”. In pratica – secondo la Corte costituzionale – anche se Esposito non era direttamente intercettato, essendo anche lui al centro dell’indagine, bisognava procedere comunque con la richiesta di autorizzazione della camera di appartenenza come previsto per i parlamentari.

Annullato il rinvio a giudizio – Per effetto dell’accoglimento del conflitto di attribuzione la Corte costituzionale ha annullato la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura di Torino il 29 luglio 2021 e il decreto che dispone il giudizio di Stefano Esposito, adottato dal Giudice dell’udienza preliminare il primo marzo 2022. L’indagine è quella sulla cosiddetta “Bigliettopoli” di Torino, l’inchiesta che nel luglio 2019 ha portato al rinvio a giudizio di 23 imputati tra cui appunto Esposito, accusato di concorso in turbativa d’asta, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e traffico di influenze illecite. Nel mese di giugno del 2022 l’Aula del Senato ha approvato la relazione della Giunta delle immunità parlamentari, sollevando il conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale sulle intercettazioni effettuate dalla Procura di Torino nei confronti dell’ex senatore Pd. I voti favorevoli erano stati 117, 37 i contrari e otto gli astenuti.

L’inchiesta – L’inchiesta nasce nel 2015, quando la Procura inizia a indagare sulla figura di Giulio Muttoni, ex patron di Set up live, società che organizza concerti e che con Live Nation ereditò gli impianti di Torino 2006 in Parcolimpico. Secondo la ricostruzione della Procura Muttoni, quell’anno, era in forte difficoltà perché la prefettura di Milano emise una interdittiva antimafia durante l’Expo. Secondo i pm, in quel momento si attivò l’amico Stefano Esposito, all’epoca senatore del Pd e membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie. Esposito – scriveva il pm nell’atto di chiusura indagini – si attivò “con più azioni esecutive di un disegno criminoso”, compiendo “atti contrari ai doveri d’ufficio” per aiutare Muttoni. L’ex senatore – secondo il pm – avrebbe contattato i vertici dell’Anac, favorendo un incontro a casa sua tra il presidente, Raffaele Cantone, e il legale di Muttoni per “acquisire informazioni volte a individuare strategie e consigli finalizzati a ottenere la revoca del provvedimento della prefettura di Torino”, come recita l’atto firmato dal pm Colace. In cambio, il senatore dem avrebbe ricevuto, sia da Muttoni che da Roberto De Luca (presidente del cda di Live Nation e amministratore delegato di Parcolimpico) denaro e regali, come una cena al ristorante Il Cambio da 539 euro, un Rolex da collezione e un tapis roulant, sempre secondo quanto ricostruito dall’accusa.

I dettagli della decisione della Consulta – Secondo la sentenza della Consulta, il carattere “mirato” dell’attività di indagine deve essere ricavato dalla “decisiva circostanza” per cui, nei confronti del parlamentare, emergono “specifici indizi di reità che si traducono nella richiesta di approfondimenti investigativi“. L’abitualità dei rapporti tra il parlamentare e il terzo intercettato, il numero delle conversazioni e la loro prevedibilità, nonché la loro proiezione nel tempo, possono non essere da soli sufficienti a qualificare il parlamentare come bersaglio effettivo delle indagini, sottolinea la Corte Costituzionale. Ad assumere un peso determinante in tal senso è, piuttosto, l’effettivo e sostanziale coinvolgimento del parlamentare tra gli obiettivi delle indagini.

Le mancate richieste di autorizzazione – Nel dettaglio la Corte ha ritenuto che l’effettivo e sostanziale coinvolgimento dell’allora senatore Esposito emerge chiaramente a partire dal 3 agosto 2015, data nella quale il contenuto delle conversazioni intercettate viene per la prima volta fatto oggetto di “spunti investigativi meritevoli di approfondimento”. Mutati gli obiettivi dell’attività di indagine viene ritenuta illegittima l’acquisizione e l’utilizzo delle intercettazioni successive al 3 agosto 2015 in quanto avvenuti senza che sia mai stata richiesta, dall’autorità giudiziaria, l’autorizzazione al Senato. Le intercettazioni precedenti a quella data, invece, per la Consulta sono da qualificarsi come “occasionali“, con la conseguenza che non potevano essere utilizzate nei confronti di Esposito senza l’autorizzazione successiva richiesta dalla legge.

La sentenza Renzi – La Corte costituzionale cita anche la recente sentenza (sempre della Consulta) su Matteo Renzi relativa caso Open che ha stabilito che le e-mail e le chat di Whatsapp in cui è interlocutore un parlamentare devono essere considerate corrispondenza, e non semplici documenti. Sul caso Esposito così, in applicazione di questo principio, è stata anche “accertata l’illegittimità dell’acquisizione agli atti di indagine, in data 19 marzo 2018, dei messaggi WhatsApp, indirizzati a (o prevenienti da) Esposito allorquando egli ricopriva ancora il mandato parlamentare, estratti dalla copia forense delle comunicazioni contenute nel dispositivo di telefonia mobile di altro indagato: messaggi per i quali sarebbe stata necessaria, ai sensi dell’art. 68, terzo comma, Cost. e dell’art. 4 della menzionata legge 140/2003, una preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza, costituendo essi corrispondenza, il cui sequestro nei confronti di un parlamentare è, appunto, condizionato alla previa autorizzazione”, conclude la nota della Consulta.

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