di Marco Bertolini

Le conquiste ottenute grazie alle lotte di tanti italiani e ad una classe politica immensamente più capace e lungimirante dell’attuale hanno permesso di istituire, nel 1978, il Servizio Sanitario Nazionale. Per chi è nato dopo, come me, è una cosa scontata e poco valorizzata (e forse il problema sta proprio in questo), ma se pensiamo a cosa abbia significato arrivare ad una copertura sanitaria gratuita e universalistica per tutti possiamo ben comprendere la portata della rivoluzione che c’è stata. Non importava quanto eri ricco, se avevi o meno un lavoro o con quale azienda. Potevi finalmente vivere con un problema in meno: quello di doverti preoccupare di avere i soldi per curarti (cosa che in America, purtroppo, è ancora all’ordine del giorno per milioni di cittadini).

Decennio dopo decennio, più o meno consapevolmente, si è fatto di tutto per distruggere questa rivoluzione e per restaurare il vecchio regime, quello in cui a curarsi come si deve erano solo i benestanti. I grimaldelli utilizzati a tal scopo sono stati tanti e ben ingegnati. Basti pensare all’aver dato la possibilità ai medici di poter operare con strumentazione pubblica in regime di prestazione privata, per cui si sono create queste meravigliose “agende” che stranamente sono chiuse quando si deve fare un esame utilizzando il canale pubblico (mesi di attesa) e che magicamente si aprono nel caso lo stesso medico svolga l’esame in regime privatistico utilizzando lo stesso apparecchio pubblico.

Oppure alla modifica costituzionale che ha portato in capo alle regioni la gestione della sanità, creando infiniti sistemi diversi, di serie A e di serie B a seconda di dove si viva, contraddicendo nei fatti il nome stesso del servizio, che non può essere allo stesso tempo sia nazionale che regionale (le penose conseguenze si sono viste a pieno con il Covid, dove l’andare ognuno per conto suo ha portato a danni incalcolabili).

Oppure all’introduzione della concorrenza tra pubblico e privato, facendo intendere che un servizio non privo di criticità come quello pubblico una volta messo in concorrenza con quello privato si sarebbe, per non si sa quale ragione, messo a splendere di luce propria. Proprio quest’ultimo grimaldello è quello che, probabilmente, ha più contribuito alla situazione critica che stiamo vivendo in questi anni. Il SSN viene infatti costantemente sottofinanziato, creando le condizioni perché ci si rivolga a strutture private convenzionate. Al momento, visto che è comunque sempre lo stato che paga, il cittadino non percepisce a pieno che il servizio si sta privatizzando. Stato, però, che è costretto a destinare sempre più risorse al pagamento delle convenzioni, che sono onerose dato che il privato non lavora certo gratis e per di più si concentra sulle prestazioni che gli garantiscono il massimo guadagno.

Si è innestato quindi un circolo vizioso che sembra inarrestabile, per cui ci si ritroverà, nel giro di pochi anni, ad essere quasi completamente succubi delle strutture private. Oltre a questo, sta crescendo parallelamente il mercato delle assicurazioni sanitarie, stipulate sia dai singoli cittadini che dalle aziende stesse come benefit per i propri dipendenti. In questo modo, chi può pagare salta direttamente la fila e usufruisce del sistema di cura totalmente privatistico, tanto paga l’assicurazione (esattamente come nel sistema americano).

Tutto questo è angosciante, o perlomeno dovrebbe esserlo per tutto noi, pensando anche a cosa stiamo lasciando ai nostri figli. Gino Strada ne era ben consapevole. Chi se ne sta rendendo pienamente conto è il personale medico, soprattutto quello che non si vuole piegare al sistema, non vuole mollare tutto e passare dall’altra parte della riva. Spero vivamente che gli scioperi di questi giorni e quelli programmati in futuro possano scuotere le coscienze. Perché la loro lotta rimane l’ultima speranza prima di dover rimpiangere, una volta e per sempre, il fu Servizio Sanitario Nazionale.

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