Servirà riascoltare i collaboratori di giustizia Vito Galatolo e Francesco Onorato e l’ex poliziotto Gioacchino Genchi prima di poter iniziare il dibattimento del processo di appello a Caltanissetta sul depistaggio di via d’Amelio. Questo perché, nell’atto di appello della procura nissena sulla sentenza che ha prescritto l’accusa di calunnia aggravata per aver favorito Cosa nostra per i poliziotti Mario Bo e Fabrizio Mattei e ha assolto Michele Ribaudo “perché il fatto non costituisce reato”, l’accusa chiedeva una nuova valutazione delle prove orali che sarebbero state “svalutate” o “non adeguatamente considerate” dai giudici di primo grado.

Per farlo però, la corte presieduta da Giambattista Tona, citando la norma 603, comma 3 bis del codice procedura penale, può disporre di una nuova istruttoria dibattimentale nel caso in cui le prove dichiarative siano già state assunte in primo grado, e se l’appello del pubblico ministero avviene per una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa.
In questa fase preliminare quindi, come deciso dal collegio dopo due ore di camera di consiglio, il prossimo 9 gennaio saranno ascoltati i due collaboratori di giustizia Galatolo e Onorato, per consentire ai pg di riesaminare le dichiarazioni sui punti che non sarebbero stati valutati dal giudice di primo grado. Il martedì successivo (16 gennaio) sarà la volta dell’ex poliziotto, e oggi avvocato, Genchi. Il collegio inoltre si riserva di decidere, solo dopo aver riascoltato i tre testimoni, sulle ulteriori richieste presentate dalle parti.

Per chi non lo ricordasse, i tre poliziotti Bo, Mattei e Ribaudo, ex componenti del gruppo d’indagine Falcone-Borsellino guidati da Arnaldo La Barbera, morto nel 2002, sono accusati di calunnia aggravata per aver favorito Cosa nostra, perché avrebbero istruito il finto pentito Vincenzo Scarantino, costringendolo a rendere dichiarazioni che sarebbero servite a sviare le indagini sulla strage di via d’Amelio. In udienza il sostituto procuratore Maurizio Bonaccorso, applicato nel processo di appello, ha ribadito di voler sentire i poliziotti Andrea Grassi, Gabriella Tomasello, Armando Infantino, Giuseppe Lo Presti e Nicolò Giuseppe Manzella.

I primi due spiegano la presenza della borsa del giudice Paolo Borsellino, in cui ci sarebbe stata l’agenda rossa, all’interno della stanza di La Barbera, già il 19 luglio 1992. Mentre gli altri tre agenti avrebbero fornito elementi per ricostruire i passaggi “brevi manu” della borsa negli attimi successivi all’esposizione di via d’Amelio. Inoltre, nei prossimi mesi, anticipa in aula il pm Bonaccorso, potrebbe esserci un ulteriore “discovery con nuove produzioni istruttorie”, legata all’inchiesta della procura di Caltanissetta sull’agenda rossa scomparsa, che vede indagate la figlia e moglie di La Barbera. Anche l’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, ha ribadito in aula i punti chiave della sua memoria, non prestando il consenso all’acquisizione dei verbali dei poliziotti, ma chiedendo al giudice di sentirli a dibattimento.

L’avvocato Giuseppe Panepinto, difensore di Bo, ha chiesto al collegio di non accogliere nel dibattimento né “i nuovi testimoni”, né a “tutte le richieste istruttorie anche proposte da Repici”, in quanto i verbali dei poliziotti fornirebbero “una serie di dichiarazioni che esulano dalla prova nuova o sopravvenuta” e “non c’è nessun elemento di novità”. Anche l’avvocato Giuseppe Seminara, legale di Mattei e Ribaudo, si è opposto, aggiungendo che “sulle sorti della borsa e dell’agenda rossa, pur essendo una vicenda significativa, aprirebbe ad una rinnovazione dell’istruzione assai corposa” che farebbe “entrare a dibattimento una serie di soggetti” che non sarebbero attinenti al processo. La decisione però spetterà al collegio, che prima ascolterà Galatolo, Onorato e Genchi.

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