Condannato a 20 anni “a sua insaputa” per traffico di stupefacenti in Italia, ma contemporaneamente d”etenuto in Albania per gli stessi reati a scontare una pena di 10 anni e sei mesi”. In questa duplice veste, secondo l’avvocata Ilenja Mehilli, Alket Hatija, 50 anni, considerato dagli inquirenti uno dei “grandi signori della droga”, la scorsa estate era stato estradato in Italia in base all’ordine di carcerazione emesso dalla procura di Milano il 18 maggio 2017.

Per l’accusa tra il gennaio 2003 e il marzo 2004 aveva fatto trasportare a Milano 350 chili di eroina e 190 di cocaina, per un valore di 35-45 milioni di euro. Il trasporto avveniva tramite cargo dall’Albania verso l’Italia, su camion con targhe europee e auto che attraversavano il confine nel nord Italia. Quando l’uomo, al centro dell’indagine insieme ad altri cittadini albanesi – si era visto notificare l’estradizione, all’inizio rigettata dalla autorità di Tirana, aveva dichiarato di non sapere dell’esistenza di quel procedimento e di apprenderlo solo in quel momento. Hatija era stato comunque consegnato all’Italia.

Ma in questa storia di procedimenti paralleli si è inserito anche un ritardo deposito del provvedimento di estradizione per cui c’erano 30 giorni di tempo. L’arresto è stato eseguito il 31 agosto e il termine per il deposito del provvedimento di estradizione scadeva quindi il 1 settembre, ma il deposito è avvenuto il 12 ottobre.

Il ricorso della difesa – La legale ha presentato ricorso alla Corte d’appello di Milano sia sul tardivo deposito del provvedimento di estradizione sia sulla mancata notifica al suo assistito dell’inizio del processo d’appello (gennaio 2010) a suo carico per narcotraffico che si era concluso con una condanna a 20 anni, poi confermata in Cassazione. “Il mio assistito ha saputo del processo nel giugno del 2010 senza avere la possibilità di partecipare, è stato dichiarato contumace mentre era detenuto in Albania per gli stessi reati perché la procura di Milano aveva trasmesso gli atti e sulla base di quelli era stata aperta un’inchiesta. Quello che conta è che non c’è stato nessun pregiudizio morale da parte dei giudici italiani e il mio assistito sarà scarcerato. Ora ci sarà un nuovo processo d’appello e comunque in caso di condanna non ci saranno certamente 20 anni da scontare visto che è stato detenuto in Albania”.

L’ordinanza della Corte – Secondo i giudici – presieduti da Flores Tanga – che hanno accolto il ricorso della difesa non è certo che l’imputato fosse davvero a conoscenza del processo (il legale di fiducia era stato nominato da alcuni parenti) e quindi non essendo informato non ha potuto intraprendere “le iniziative più utili alla sua difesa; analogamente, la scarsa informazione ricevuta dall’Hatija circa le sua facoltà all’esordio del giudizio di appello svuotano in buona parte la legittimità del medesimo, rispetto al quale l’imputato – per i profili fin qui messi in evidenza – risulta scarsamente informato e in ogni caso non portatore di una opzione espressa e consapevole di voler restare assente rispetto alla sua celebrazione”.

Anche volendo ipotizzare che il narcotrafficante, dopo la sentenza di primo grado, si sia dileguato proprio per sfuggire all’arresto “non vi è prova persuasiva del fatto che l’Hatija conoscesse o avesse contezza della sostanza e degli sviluppi del procedimento che ha generato da ultimo la sentenza della Corte d’Appello e quindi della Corte di Cassazione a suo carico”. Di conseguenza “la conoscenza da parte del prevenuto del procedimento a suo carico è stata puramente formale, e la proposizione dell’appello da parte del difensore che l’Hatija nega di avere personalmente e volontariamente officiato non è idonea a ‘consumare’ anche la personale e separata facoltà di appellare la sentenza di primo grado, che pertanto va riconosciuta in questa sede”.

L’uomo – che viveva in una villa con bunker a Berat ed era continuamente circondato da guardie del corpo armate – era stato arrestato a Durazzo (Albania) nel 2017 grazie alla collaborazione tra forze di polizia – e solo dopo una pronuncia della Corte suprema albanese si era arrivati all’estradizione. Ma adesso bisognerà celebrare un nuovo processo d’appello.

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